Venezuela: Brogli senza sorprese

La controversa rielezione di Nicolas Maduro – al potere dal 2013 e ufficialmente rieletto per un terzo mandato fino al 2031 – ha gettato il Venezuela nel caos e nell’incertezza: l’opposizione lo accusa di brogli elettorali, sostenendo di avere le prove della propria vittoria, con il supporto di gran parte della comunità internazionale. Per le strade, imperversano le manifestazioni contro la sua rielezione, mentre il presidente continua a minacciare i leader dell’opposizione costretti a nascondersi.

Venerdì 2 agosto, l’autorità elettorale ha confermato la rielezione di Maduro, con il 52% dei voti contro l’avversario Edmundo Gonzalez Urrutia (43%), senza tuttavia fornire risultati dettagliati. In verità, i brogli non sono stati una sorpresa per l’opposizione, che si era organizzata per cercare di prevenirli collocando degli scrutatori presso i seggi elettorali. Secondo l’opposizione, l’81,2% delle schede raccolte avrebbe dato a Gonzalez Urritia la netta maggioranza dei voti, il 67%.

Nell’affrontare i disordini che hanno fatto seguito alla sua rielezione, Maduro ha scelto un approccio fortemente repressivo, con il supporto del ministro della Difesa Vladimir Padrino, per mantenere l’ordine interno. Questa repressione ha già fatto numerose vittime. Almeno 11 civili e un soldato sono stati uccisi e più di 1.200 persone sono state arrestate durante le manifestazioni spontanee scoppiate in tutto il Paese nei due giorni successivi alle elezioni. L’opposizione, che ha condannato una “repressione brutale”, ha parlato di 20 morti e 11 sparizioni forzate, denunciando anche il saccheggio della sua sede a Caracas durante la notte del 2 agosto da parte di un gruppo di uomini armati incappucciati, nonché la “detenzione arbitraria” di uno dei suoi leader, il giornalista Roland Carreño, giornalista e coordinatore nazionale del partito Voluntad popular, arrestato venerdì 2 agosto a Caracas e portato in una destinazione sconosciuta.

Sempre venerdì 2 agosto, nel giro di poche ore, cinque Paesi latinoamericani (Argentina, Uruguay, Ecuador, Costa Rica e Panama) hanno reagito a favore dell’opposizione venezuelana, riconoscendo la vittoria di González Urrutia alle elezioni presidenziali. Il primo paese a riconoscere González Urrutia come presidente eletto “legittimo” è stato però il Perù che, nella giornata del primo agosto, ha così sconfessato l’autorità elettorale venezuelana e spinto Caracas a interrompere le relazioni diplomatiche con Lima. Gli Stati Uniti, per bocca del loro capo diplomatico Antony Blinken, hanno assicurato che “prove schiaccianti” certificano González Urrutia come vincitore delle elezioni di domenica 28 luglio. Nel corso della settimana successiva, la leader dell’opposizione, María Corina Machado, ha pubblicato su un sito web le copie dell’84% dei registri elettorali in suo possesso, che sostiene essere una prova inconfutabile della vittoria dell’opposizione.

Dall’altra parte dell’Atlantico, il Nicaragua, uno dei fedeli alleati del governo chavista insieme a Russia e Iran, ha riconosciuto la vittoria di Maduro come ufficialmente proclamata dal Consiglio nazionale elettorale. Il leader socialista ha “ringraziato” i presidenti di Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, Colombia, Gustavo Petro, e Messico, Andrés Manuel López Obrador, che “stanno lavorando insieme per garantire che il Venezuela sia rispettato e che gli Stati Uniti non facciano quello che stanno facendo”.

Maduro sostiene di essere vittima di un complotto: nella sua versione dei fatti avrebbe vinto le elezioni legalmente, mentre l’opposizione avrebbe organizzato un attacco informatico al Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) per impedirgli di essere dichiarato vincitore e per favorire un colpo di stato. Il ministro dell’Informazione Freddy Nanez ha dichiarato che Maduro si sarebbe rivolto al Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) per farsi riconoscere la vittoria da un’autorità indipendente. L’analista politico Lusi Angarita, tuttavia, ha sottolineato come tutte le istituzioni dello Stato venezuelano siano ormai nelle mani del governo, mettendo quindi in dubbio la loro effettiva indipendenza. Eugenio Martinez, esperto di elezioni, non crede alla teoria dell’hackeraggio avanzata da Maduro, sostenendo che un effettivo attacco hacker al CNE avrebbe dovuto coinvolgere un sistema di linee telefoniche molto fitto, composto da 15.000 linee indipendenti criptate. La credibilità della versione di Maduro sarebbe, dunque, molto bassa.

Sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, oltre che da vicini latinoamericani di sinistra come Brasile e Colombia, l’opposizione chiede quindi un’ispezione indipendente delle schede che verifichi i risultati delle elezioni. Dato il rischio che le istituzioni venezuelane non siano realmente indipendenti, le ispezioni dovrebbero arrivare dall’esterno, ma è improbabile che Maduro accetti una cosa simile: ha infatti fatto notare come gli americani o gli europei non facciano controllare i propri risultati elettorali dagli altri paesi.

Per quanto concerne la minaccia di sanzioni o di azioni penali internazionali, Maduro mantiene un approccio apparentemente molto sicuro, sottolineando come il Venezuela sia abituato a resistere. Ha sostenuto, inoltre, che le risorse petrolifere venezuelane siano fondamentali per gli Stati Uniti e per altri Paesi dell’America Latina, alludendo implicitamente all’uso del petrolio come arma negoziale.

Al momento, sono due le domande importanti. L’opposizione riuscirà a rovesciare Maduro tramite le proteste? L’esercito sarà fedele? Con circa 7 milioni di venezuelani che hanno lasciato il Paese, molti ritengono che l’opposizione non sia più in grado di radunare le folle, e che sia pronta a fronteggiare una repressione che nel solo nel 2017 portò a un centinaio di morti. Molti sperano che l’esercito, pilastro del potere di Maduro, si spacchi. Gonzalez Urrutia ha ripetutamente invitato l’esercito a schierarsi con “il popolo”, ma per il momento le alte gerarchie sono solidamente al fianco di Maduro.

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