USA 2024. Kamala Harris e le speranze democratiche

Dal 2 agosto, è ufficiale: Kamala Harris è la candidata democratica alla Casa Bianca, con sei mesi di ritardo sui tempi anomali di Usa 2024 ma con oltre due settimane di anticipo sulla convention democratica, che si aprirà a Chicago lunedì 19 agosto.

La vicepresidente (a lungo invisibile) dell’Amministrazione Biden ha già raggiunto la maggioranza dei delegati alla convention, chiamati fino al 5 agosto a una votazione virtuale per riempire il vuoto del ritiro dalla corsa del presidente Biden, annunciato il 21 luglio, ma considerato da molti scontato dopo il flop nel dibattito televisivo con Trump il 27 giugno. Troppo grave il vulnus di immagine subito per sperare di ripararlo.

Così, nel giro di una decina di giorni, Harris – che nessuno aveva votato alle primarie democratiche e che non era mai stata una figura di punta dello schieramento democratico – si trova a essere la prima donna nera e la prima persona di ascendenza asiatica a ottenere la nomination di uno dei due maggiori partiti Usa.

Dopo il ritiro, Biden, che l’ha tenuta dietro le quinte per tutto il suo mandato (ma è destino comune ai vice), le ha subito dato il suo endorsement, invitando di fatto i delegati da lui conquistati durante le primarie a votare per lei – la quasi totalità dei circa 4000, visto che il presidente correva, di fatto, senza avversari. Harris ha rapidamente visto convergere sul suo nome il ‘gotha’ del partito (cioè, i Clinton per primi, gli Obama da ultimi, Nancy Pelosi, regista neppure troppo occulta dell’operazione ‘cambio in corsa’, i gruppi democratici alla Camera e al Senato, i governatori).

Anche coloro che, nell’agonia della candidatura di Biden, protrattasi per 25 giorni, erano stati citati come alternative al presidente – i governatori della California Gavin Newsom e del Michigan Gretchen Whitmer – si sono messi al suo servizio, con Whitmer che coordina la sua campagna. Un partito che sentiva il tanfo della sconfitta torna a respirare la speranza della vittoria: i sondaggi dicono che la corsa con Trump è testa a testa. Le cronache riferiscono che il magnate e il suo vice JD Vance faticano ad adeguare il loro linguaggio a una candidata donna e, al contempo, afroamericana e asiatico-americana. Le loro parole piacciono a quelli che sono già loro elettori, conservatori o d’estrema destra, ma infastidiscono o spaventano gli altri, moderati e indipendenti.

L’incognita è, adesso, se Harris – che è partita bene, con piglio e grinta, ma anche con il sorriso (e talora la risata) e la leggerezza – saprà tenere la distanza. Da candidata alla nomination nel 2020, accusò la fatica della campagna: stella nascente nell’estate 2019, era già fuori dalla corsa all’inizio delle primarie, senza soldi, ma anche con pochi consensi. Questa volta, però, la campagna è breve: tre mesi e i giochi saranno fatti. I soldi non sembrano essere un problema: in una settimana, aveva già raccolto 200 milioni di dollari, quasi tutti fatti di piccole donazioni.

Se non altro per ragioni di età, Harris, che avrà presto 60 anni, è un ponte fra i settantenni, ormai divenuti ottantenni, e i quarantenni/cinquantenni latitanti nel partito democratico. La neocandidata invita a sostenere “i nostri valori americani” e mette nel mirino Trump “che mette i propri interessi davanti a quelli della gente”. Ad aiutarla nei dibattiti è la sua esperienza da procuratrice: Trump ne ha già avuto un assaggio, quando lo ha avvertito di avere già avuto a che fare con molestatori e truffatori e con “criminali condannati”, tutte definizioni che giuridicamente si attagliano al magnate.

In un confronto televisivo nell’estate del 2019 con una pletora di aspiranti alla nomination democratica, Harris uscì vincitrice: si prese un 8 in pagella, “spigliata, sicura, determinata, e anche ironica, è dentro tutti i momenti topici”. Trump la dipinge come un’estremista di sinistra, ma in realtà lei ha sempre rappresentato l’ala ‘Law& Order’ del partito democratico. Potrebbe essere attaccata sul fronte dell’immigrazione – Biden le aveva affidato il dossier trappola, dove tutti falliscono, che vogliano costruire muri o ponti – ma il magnate e il suo vice, per ora, battono sui tasti del genere e delle minoranze. Dopo la sortita boomerang del senatore dell’Ohio contro “le gattare che non fanno figli”, modello Kamala – ma anche modello ‘donne d’America che antepongono se stesse al mito familiare’ –, l’ex presidente mette in dubbio l’identità razziale della sua rivale e dice di avere scoperto da poco che Kamala è nera, perché prima lei si era sempre presentata come indiana: “Era indiana e poi è diventata nera”. Kamala Harris ha un padre afroamericano, giamaicano, e una madre indiana, entrambi accademici. La madre ha avuto su di lei un’influenza maggiore del padre, meno presente nella sua vita.

“Adesso si presenta come nera”, ha insistito Trump, durante una vivace sessione di domande e risposte alla convention a Chicago della National Association of Black Journalists. Un modo per insinuare che Harris usa le sue origini afroamericane perché le fa comodo, non perché le sente proprie. Il moderatore della sessione, i cui toni sono rapidamente divenuti ostili, gli ha fatto presente che Harris è membra attiva di una storica ‘sorority’ nera e ha affermato a più riprese, e in più modi, la sua identità nera, mentre l’audience rumoreggiava e sghignazzava.

Inoltre, Trump, pochi giorni or sono, aveva affermato che Harris “non capisce gli ebrei” e di non capacitarsi come un ebreo la possa votare, pur essendo il marito di Harris, Douglas Craig Emhoff, un avvocato ebreo.

I repubblicani sono divisi sulle dichiarazioni di Trump su Harris. Alcuni, come Vance, lo difendono a spada tratta e, anzi, rilanciano gli attacchi a Harris dal confine con il Messico, che, a causa sua, sarebbe divenuto un “paradiso dei contrabbandieri”. Ben Shapiro, sul Daily Signal, organo online della Heritage Foundation, think tank iper-conservatore, definisce Harris “una candidata del mito”, una creazione mediatica: “Era giusto buona per rimpiazzare un presidente che non stava in piedi. Adesso, i media ce la presentano come carismatica, fascinosa, pronta e scattante”.

Molti repubblicani, invece, invitano a riportare l’attenzione sui contenuti della campagna, evitando temi spinosi come la razza e l’identità di genere, sui quali si rischiano di perdere i consensi di donne e giovani. L’ex presidente però appare incurante alle critiche: su Truth posta una foto di Kamala insieme alla madre e alla sua famiglia in abiti tradizionali indiani. “Grazie Kamala per la bella foto che hai mandato anni fa. Il tuo calore, la tua amicizia e il tuo amore per le tue origini indiane sono molto apprezzati”, ha scritto sarcastico.

In effetti, Harris deve molto della sua personalità alle passeggiate con il nonno sul lungomare dell’allora Madras, oggi Chennai.  Questo non le impedirà però di sfidare Trump sui terreni dell’economia e del sociale, sui temi di genere e dell’aborto – punto cruciale di questa campagna –, sulle crisi internazionali e la sicurezza nazionale. Tutto cercando di schivare l’immigrazione, tallone d’Achille.

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