UK, rinato il 4 luglio

14, 5, 174. Sono i numeri che raccontano la notte elettorale del 4 luglio nel Regno Unito. Quattrodici anni dopo, il Labour Party torna al governo del Paese e KeirStarmer interrompe la catena di cinque Primi Ministri conservatori inaugurando il primo governo laburista dal 2010 e dall’uscita dall’Unione Europea (UE) a seguito del referendum Brexit del 2016. Potrà contare su una maggioranza parlamentare schiacciante di circa 174 seggi, poco sotto la storica valanga elettorale di Tony Blair del 1997. Il voto, al di là dell’attesa vittoria laburista, ha fornito datisignificativi sul quadro politico del Paese. Labour e Tories fanno registrare poco meno del 60% di voti complessivi, la soglia più bassa dal 1923. Se i laburistihanno ottenuto in termini assoluti meno voti di quelli guadagnati in precedenti tornate elettorali, il tracollo dei conservatori assume proporzioni storiche con la perdita di roccaforti elettorali e di personalità di peso del partito, come l’ex Primo Ministro LizTrusssconfitta in un seggio saldamente in mano conservatrice dal 1964. A ciò ha contribuito anche l’ottima performance di Reform UK, con Nigel Farage che all’ottavo tentativo ottiene un seggio alla Camera dei Comuni e lancia la sfida ai Tories ponendosi come unica alternativa credibile nonostante i soli 4 seggi (frutto, comunque, di un significativo 14% a livello nazionale). Il voto si riverbera anche sulle regioni più periferiche, seppur con effetti opposti. Il collasso dello Scottish National Party (SNP) dovrebbe infatti rinviare per parecchio tempo la richiesta di un nuovo referendum sull’indipendenza a nord del Vallo di Adriano, mentrelo storico successo di Sinn Fein in Irlanda del Nord (prima volta maggioranza di seggi) può riportare alla ribalta la mai pacificata questione della riunificazione irlandese. Se il quadro parlamentare di Westminster sembra solido come non mai, ora si apre il tema di come il nuovo governo laburista potrà influire sull’evoluzione dei rapporti tra il Regno Unito e la UE. Proprio il mantenimento degli Accordi del Venerdì Santo che avevano posto fine ad anni di conflitto in Irlanda era stato un nodo cruciale delle trattative tra UE e UK nel quadro degli accordi post-Brexit.

Le lunghe (e tese) negoziazioni per regolare il divorzio tra Bruxelles e Londraerano culminatenel Trade and Cooperation Agreement(TCA) siglato con il governo Johnson nel dicembre 2020. L’Accordo non coprepolitica estera, di sicurezza e di difesa, in linea con l’idea originale di Brexit di permettere al Regno Unito di riguadagnare il controllo totale su questioni sensibili per l’opinione pubblica come sicurezza e immigrazione. L’invasione russa dell’Ucraina ha però cambiato lo scenario tanto da spingere Londra e Bruxelles a stabilire un dialogo informale su queste questioni, ma senza mai istituzionalizzare il loro coordinamento. Già prima del voto Starmer e altri esponenti laburisti avevano espresso l’intenzione di negoziare un accordo con l’UE su “questioni militari, economiche, climatiche, sanitarie, di sicurezza informatica ed energetica”. Il prossimo meeting della Comunità Politica Europea previsto per il 18 luglio e organizzato proprio dal Regno Unito, potrebbe rappresentare la prima occasione peril nuovo esecutivo per manifestare le proprie intenzioni in tema di politica estera e di sicurezza. L’esito delle elezioni potrebbe dunque segnare un nuovo inizio nei rapporti tra Bruxelles e Londra, ponendo fine al prolungato conflitto post-Brexit.

La guerra contro l’Ucraina come (parziale) punto di svolta

L’UE e il Regno Unito hanno contribuito attivamente a sostenere Kiev militarmente, economicamente e politicamente. Il coordinamento ad hoc in materia di sanzioni, intelligence e addestramento delle forze armate ucraine si è intensificato, sebbene con risultati ambivalenti.

Come testimoniato anche da un recente rapporto dello European Affairs Committee della House of Lords, che ha consigliato di rendere permanenti questi meccanismi di dialogo strutturato, la cooperazione sulle sanzioni contro la Russia si è rivelata la più efficace grazie allo scambio continuo di informazioni e al supporto nell’implementazione delle misure.

In termini di assistenza militare, il sostegno all’Ucraina è stato sia finanziario che di addestramento. A marzo 2024, gli stati UE avevano stanziato un totale di 28 miliardi di euro, di cui 5,6 provenienti dal Fondo Europeo per la Pace (EPF). Secondo la Camera dei Comuni, il Regno Unito aveva impegnato un totale di 7,6 miliardi di sterline all’inizio di maggio per l’anno finanziario 2024-2025. In termini di cooperazione, tuttavia, Londra rimane scettica sui criteriUE per la partecipazione dei paesi terzi a progetti industriali di difesa, ad esempio l’adesione al mercato unico per accedere ai fondi dell’Agenzia Europea per la Difesa (EDA).

Anche a livello istituzionale il coordinamento sembra aver prodotto risultati modesti. La partecipazione di LizTruss al Consiglio Affari Esteri dell’UE nel marzo 2022 è rimasta un episodio isolato senza successive interazioni politiche dirette di alto livello. La cooperazione si è sviluppata dunque su base puramente informale o nel contesto di alleanze più ampie dominate dagli Stati Uniti come il G7 e la NATO. Guardando al futuro, ciò non sembra però adeguato a sostituire un accordo di cooperazione data anche la parziale divergenza di obiettivi tra le parti.

Quale futuro per Westminster e Bruxelles

La recente ondata di crisi internazionali, dall’Ucraina a Gaza, suggerirebbe la strada di un accordo strutturato per regolare la cooperazionein materia di politica estera e facilitare la risoluzione delle problematiche già emerse nei meccanismi informali, espandendo le aree coperte e riducendo inefficienze e problemi. L’urgenza della crisi ucraina ha permesso un coordinamento ad hoc efficace ma a lungo termine degli accordi formalizzati favorirebbero una maggiore continuità e stabilità per affrontare questioni di interesse comune. Questo è tanto più necessario in vista delle prossime elezioni USA, laddoveuna possibile nuova Amministrazione Trump potrebbe cambiare significativamente l’impegno degli Stati Uniti nelle principali crisi internazionali e nei forum multilaterali strategici. Londra e Bruxelles potrebbero essere chiamate ad assumersi una maggiore responsabilità per la sicurezza europea, un impegno per il quale il dialogo informale potrebbe rivelarsi inadeguato.

Rimangono tuttavia alcuni nodi da sciogliere. Se da un lato l’UE considera Londra un importante partner di sicurezza, dall’altro non può permettersi di concedere una relazione privilegiata rispetto a quella offerta ad altri paesi terzi (più) amici, poiché questo rischierebbe di svalutare l’appartenenza all’Unione. Sebbene il Labour abbia proposto “un accordo di partenariato più formale” le dichiarazioni sulla difesa sono state ben più vaghe, laddove si è fatto riferimento a una”relazione su misura“. Per Londra la regolamentazione UE sul coinvolgimento di attori terzi nei progetti di integrazione della difesa resta un ostacolo primario.In ambito PESCO, ad esempio, il Regno Unito non potrebbe influenzare la pianificazione strategica ma sarebbe obbligato ad allinearsi a decisioni altrui.

Ciononostante, un accordo strutturato anche in questi ambiti sembra comunque essere più vantaggioso per entrambe le parti, e la prima scelta che dovrà essere fatta riguarda il grado di formalizzazione della relazione. Il TCA è un accordo tecnico senza un sostanziale input politico, il che rende difficile risolvere i problemi che possono sorgere. Un approccio più strutturato richiederebbe un minimo grado di coordinamento politico ein questo senso l’UE ha esperienza di ‘dialoghi politici’ con paesi terzi per la cooperazione in politica estera e di sicurezza che integrano accordi commerciali con “diversi gradi di formalizzazione” dell’interazione politica. Un’alternativa più agile potrebbe consistere in unjoint statement che impegni le due parti a incontri regolari e a un minimo coordinamento politico.

Ma al di là di come questo rapporto sarà inquadrato, l’esito delle elezioni sembra destinato a fornire una finestra di opportunità per un maggiore dialogo tra il Regno Unito e l’UE che non dovrebbe essere sprecata.

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