Regno Unito: il discorso del Re

A poco meno di un mese dalle elezioni che hanno riportato il Labour Party a Downing Street, Keir Starmer non si è fatto trovare impreparato e, complici il già forte vantaggio nei sondaggi e la granitica maggioranza parlamentare, ha assemblato in tempi strettissimi la compagine governativa nel segno della continuità con lo shadow cabinet e in totale discontinuità con l’epoca Tory. Per quanto sia ancora presto per analizzare le scelte messe in atto dall’esecutivo, alcune linee programmatiche sembrano già emergere con chiarezza indicando due principali fronti di azione: politiche interne per contrastare le diseguaglianze e rilanciare la crescita, e un rinnovato protagonismo internazionale. Starmer dovrà però barcamenarsi tra due impostori, per citare Kipling, quali orgoglio e pregiudizio e trovare un delicato equilibrio. L’orgoglio con cui il Labour rivendica il posto britannico tra i grandi d’Europa e rilancia la sua leadership in campo energetico, climatico, di sicurezza e difesa, dovrà infatti vincere il pregiudizio che ancora oggi imperversa tra coloro che non hanno dimenticato le ferite del referendum Brexit.

Come da tradizione, il 17 luglio durante lo State Opening del nuovo Parlamento, Re Carlo III ha tenuto il suo discorso, scritto dal nuovo governo, per illustrare i programmi dell’esecutivo che governerà in Suo nome. Il breve lasso di tempo dalle elezioni e i ridotti margini di spesa a disposizione hanno dato luogo a un elenco di provvedimenti ancora piuttosto vaghi, ma sufficientemente concreti da poter fornire una prima idea delle priorità del primo governo Starmer. Tra le misure più urgenti ci sono quelle per rilanciare la crescita economica e contrastare l’aumento del costo della vita e l’emergenza abitativa, oltre a risposte alla crisi dei servizi pubblici, sanità e trasporti in particolare. Si punta dunque a invertire la rotta rispetto alle privatizzazioni degli ultimi decenni, prevedendo un ruolo più robusto della macchina pubblica soprattutto in ambito energetico e nell’azione climatica. Da qui la proposta di realizzare una nuova compagnia energetica statale, GB Energy, che possa assicurare al Regno Unito sicurezza e indipendenza energetica e una più rapida transizione green. I primi provvedimenti varati in tal senso mirano a creare una virtuosa partnership tra pubblico e privato che arrivi a mettere in circolo fino a 60 miliardi di investimenti privati in clean technologies e progetti volti a rilanciare la produzione di energia green domestica. Obiettivi resi tanto più critici dall’invasione russa dell’Ucraina, dossier sul quale invece Starmer si pone in netta linea di continuità con i precedenti governi Tories, assicurando sostegno granitico a Kyiv e confermando l’ambizione di rendere Londra protagonista di una nuova architettura di sicurezza europea.

L’orgoglio con cui il Labour tenta di risollevare le sorti di un paese impoverito e arrabbiato, parlando alle fasce più vulnerabili della popolazione ma cercando anche sponda tra i ceti produttivi, si scontra però con margini di spesa alquanto ridotti. Rachel Reeves, Cancelliere dello Scacchiere, ha già messo in chiaro che i conti pubblici ereditati dai Tories sono in pessime condizioni, nonostante anni di austerity e tagli alla spesa pubblica. In questo contesto sembra difficile sostenere politiche di rilancio dell’economia che prevedono ingenti investimenti statali. In aggiunta, Starmer godrà sì di una maggioranza parlamentare di rara solidità, la quale poggia però su una base elettorale ben più debole, considerando che il Labour non si è spinto oltre il 33% dei voti, la percentuale più bassa per un partito vincitore delle elezioni dal secondo dopoguerra a oggi. Ad aver ricondotto il Labour a Downing Street sembra più la rabbia verso i conservatori che non un netto incremento del voto popolare, un elemento di cui dovrà tener conto il nuovo governo in un contesto di generale disaffezione verso la politica e la stessa istituzione del Regno. Contrastare le profonde diseguaglianze economiche e l’abbassamento degli standard economici e sociali sembra infatti anche l’unica ricetta per contenere le spinte centrifughe che da anni ormai inquietano Scozia, Irlanda del Nord e Galles, cui ha contribuito una Brexit di marca prettamente inglese.

Il 18 luglio, due settimane dopo la vittoria elettorale, il Regno Unito ha ospitato l’ultimo vertice della Comunità Politica Europea (CPE), il nuovo framework di sicurezza europea ideato da Macron a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Il summit ha fornito a Starmer l’occasione per illustrare ai partner europei la direzione che intenderà intraprendere il nuovo corso laburista nell’ottica di un reset delle relazioni con Bruxelles, a partire da un nuovo accordo di sicurezza e politica estera. Al di là del simbolismo evocato dalla scelta di Blenheim, luogo di nascita di Winston Churchill, come sede del meeting, sul fronte dei contenuti il vertice non sembra aver segnalato significativi cambi di passo. È stata infatti sottolineata la necessità di continuare a sostenere l’Ucraina, di sviluppare rapporti più solidi tra Londra e Bruxelles e di contrastare l’immigrazione clandestina anche attraverso investimenti in Africa e Medioriente. La natura sostanzialmente informale del summit e il poco tempo intercorso tra l’insediamento di Starmer e il vertice rendevano improbabile il raggiungimento di risultati e obiettivi specifici e concreti. Ciò che si segnala è soprattutto il messaggio che il nuovo esecutivo ha voluto lanciare da Blenheim: un Regno Unito che non vuole ripiegarsi su sé stesso oltre la Manica ma intende partecipare al rilancio di una nuova Europa. Un segnale lanciato, non a caso, dalla terra che ha visto nascere uno dei più strenui difensori di un continente sopravvissuto alla distruzione di sé quasi 80 anni fa.

Sin qui, però, il Labour ha potuto godere di una luna di miele nei confronti del Vecchio Continente mostrando un volto nuovo e rassicurante, ma le sfide permangono e il Regno Unito dovrà sconfiggere il pregiudizio che ancora alberga in molte capitali europee. L’implementazione del Windsor Framework, la rinegoziazione dei termini del Trade and Cooperation Agreement (TCA), le dispute in materia di commercio, pesca e controlli doganali restano sul tavolo e richiederanno lunghi e faticosi negoziati nel corso dei prossimi mesi. I continui cambi di direzione mostrati dai vari governi conservatori negli ultimi anni hanno prodotto un persistente pregiudizio nei confronti delle posizioni britanniche, ritenute ormai apertamente inaffidabili da numerose cancellerie europee. I primi segnali positivi però sembrano provenire da Berlino, con la proposta veicolata da canali diplomatici tedeschi di un Security and Cooperation Agreement (SCA) che ricomprenda non solo materie di sicurezza in senso classico ma una molteplicità di politiche, dall’agricoltura alla mobilità degli studenti. La strada in tal senso sembra ancora molto lunga però, stante la permanente diffidenza francese all’idea di riaprire i negoziati con Londra dopo gli screzi dell’era Johnson.

Tutto ciò in un contesto di crisi internazionali sempre più diffuse, dall’Ucraina a Gaza, e di un novembre che si prospetta particolarmente delicato per le sorti europee se Donald Trump dovesse ottenere un secondo mandato alla Casa Bianca. Molto si misurerà però sulla capacità britannica di trovare un equilibrio tra la necessità di strutturare un rapporto più organico ed efficace con l’Unione europea, e mantenere il consenso interno ritagliandosi una partnership privilegiata con Bruxelles. Anche in questo caso, l’orgoglio di Londra, che ritiene di avere pieno titolo a un rapporto alla pari, si scontrerà con il pregiudizio di chi ritiene che tali diritti siano andati persi durante il solstizio d’estate del 2016. Una data che riecheggia, per la letteratura inglese, l’intreccio tra fantasia e realtà, quando il sogno di una notte di mezz’estate inglese si è trasformato in incubo europeo.

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