Olimpiadi di Parigi 2024: la guerra di genere del Cremlino e dell’estrema destra

Una “guerra culturale”, come l’ha definita il Presidente del CIO Thomas Bach, su identità di genere, diritti LGBTIQ e – soprattutto – sul corpo delle donne. Il ‘caso’ delle due boxeur Imane Khelif e Lin Yu-Ting è diventata una delle storie più dibattute delle Olimpiadi di Parigi 2024, con il contributo interessato della International Boxing Association, federazione internazionale caduta in disgrazia già dal 2019 (ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina) e adesso guidata dal russo Umar Kremlev.

Un punto va subito chiarito: quello dei criteri di ingresso nelle competizioni sportive (femminili e non solo) è un tema complicato e a cui è molto difficile, se non impossibile, dare una risposta definitiva. Considerazioni di equità, di sicurezza e di non-discriminazione si intrecciano in una matassa difficile da sciogliere, e persino le risposte offerte dalla biologia umana non sono affatto così nette come saremmo portati a pensare. Dei criteri sono necessari, e quelli in vigore possono essere legittimamente discussi: è fondamentale che se ne parli nelle sedi appropriate, in maniera informata e senza centrare il dibattito su singoli casi – e persone.

Quello che è successo a Parigi, invece, è stata un’aggressione senza precedenti – Imane Khelif ha giustamente parlato di “bullismo” – nei confronti di due donne che, stando agli organizzatori del Comitato Olimpico, soddisfano tutte le condizioni di ammissibilità in vigore per i Giochi. Il fatto che non solo esponenti del mondo politico, ma anche della comunità scientifica, si siano lasciati andare pubblicamente a speculazioni sull’aspetto, sul corpo e su dettagli privati della vita di due persone, senza alcun accesso a evidenze solide e senza il consenso delle interessate, dovrebbe far riflettere sullo stato del dibattito. Eventuali dubbi o reclami andrebbero avanzati attraverso i canali appositi della giustizia sportiva, non via social media o interviste televisive.

La propaganda del Cremlino e i World Friendship Games

Sono in molti, ovviamente, a voler intorbidire le acque. Che il governo russo sia ormai ostile al Comitato olimpico, dopo l’esclusione di fatto della Federazione russa da Parigi 2024, è evidente sin da quando Maria Zakharova ha accusato l’organizzazione di “razzismo e neo-nazismo”. Dei legami tra Kremlev, la IBA e il gigante dell’energia russo Gazprom si è parlato molto; e proprio Kremlev fa parte del comitato organizzatore dei World Friendship Games, una sorta di contro-Olimpiadi sponsorizzate da Mosca (al momento posticipate al 2025). Mentre Vladimir Putin non sembra essersi (ancora) espresso su Parigi 2024, Zakharova e Kremlev hanno avuto parole di fuoco sulla Cerimonia di apertura, descrivendola come “una parodia LGBT di una sacra storia cristiana” e come “pura sodomia”.

Poi si è andati oltre. Il tema della (vera e presunta) partecipazione di atleti “transgender” alle Olimpiadi di Parigi era un bersaglio ideale, su cui si sarebbe facilmente potuto trovare una sponda nella destra radicale europea e statunitense. Denunciare l’iniqua partecipazione di uomini nelle competizioni femminili è un ottimo modo per attaccare la comunità LGBTIQ presentandosi al contempo come paladini (almeno in apparenza) dei diritti delle donne.

La difesa delle donne nello sport

Comunque la si pensi a riguardo, e a dispetto di dichiarazioni reiterate sui social da parte dei soliti noti, Imane Khelif non è un uomo: è nata e cresciuta donna in un paese – l’Algeria – dove l’omosessualità è criminalizzata e la transizione di genere, nei fatti, pure. Nel portare avanti la loro campagna contro il CIO e le sue decisioni, la IBA, o meglio, gli uomini della IBA – come nell’ultima conferenza stampa organizzata sul tema, con un panel a sola composizione maschile – sostengono di voler “difendere le donne”: un tipo di retorica che è stata utilizzata per due secoli per limitare, se non escludere completamente, la partecipazione femminile nello sport. Che il vero obiettivo sia un altro lo testimoniano gli anatemi di Kremlev sulla violazione dei valori tradizionali di cui il CIO sarebbe responsabile, che ricorrono nei video pubblicati sui suoi profili social ufficiali.

Nella storia di Khelif a Parigi 2024 c’è però qualcosa in più del dibattito tossico sui social. Il sostegno che la pugile ha ricevuto dalle autorità algerine, sia pur legato certamente all’orgoglio nazionale, è un segnale positivo – così come lo è stata l’accoglienza entusiastica che il pubblico le ha riservato nell’ultimo incontro disputato. L’operazione di avvelenamento dei pozzi non sembra pienamente riuscita.

Peccato solo che tutto questo abbia fatto passare in secondo piano la storia, importante e drammatica, che la velocista Kimia Yousufi ha portato nello stadio di Parigi. Costretta a fuggire dall’Afghanistan – dove lo sport femminile è stato vietato dal regime talebano – nel 2021, Yousufi ha mostrato al mondo un foglio di carta con su poche semplici parole: “Istruzione. Sport. I nostri diritti”. Un messaggio potente, che dimostra come al di là di bullismo, propaganda e fake news, le Olimpiadi possano anche essere, ogni tanto, il palcoscenico per lanciare un appello accorato per il cambiamento e i diritti.

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