Obiettivi e impatto della controffensiva ucraina in Russia

La controffensiva ucraina in territorio russo iniziata lo scorso 6 agosto ha colto di sorpresa Mosca, nonché molti osservatori in Europa. A oltre tre settimane dal suo inizio, la “nebbia della guerra” e l’incertezza delle informazioni al riguardo permangono, tuttavia si può iniziare a riflettere sugli obiettivi dell’iniziativa di Kyiv e sul suo impatto sul conflitto in corso dal 2022.

Una controffensiva finora di successo

Forze ucraine stimabili tra 7.000 e 12.000 unità sono penetrate per una trentina di chilometri in territorio russo nella regione di Kursk, mentre massicci attacchi con droni si sono verificati nell’adiacente Belgorod e a Mosca. L’Ucraina dichiara di controllare oltre 1.300 kmq oltre confine, compresi un centinaio di piccoli insediamenti urbani: in sole tre settimane Kyiv ha ottenuto, seppur temporaneamente, quanto occupato da Mosca in territorio ucraino negli ultimi 12 mesi ad un prezzo di morti e feriti tra le sue fila enormemente maggiore. In termini operativi e nel breve periodo, si tratta oggettivamente di un successo militare significativo.

La manovra ucraina sembra volta soprattutto a colpire obiettivi militari e infrastrutture logistiche, come i tre ponti distrutti sul fiume Seym, usati dalla Russia per spostare le proprie truppe verso il fronte ucraino, piuttosto che ad un’occupazione stabile del territorio che richiederebbe ingenti fortificazioni difensive – sebbene questa seconda opzione non sia escludibile a priori. In questo contesto, gli scopi perseguiti da Kyiv appaiono oggi principalmente tre, con un quarto duplice obiettivo alquanto incerto.

Obiettivo #1: distogliere truppe russe dall’Ucraina

In primo luogo, la controffensiva ha l’obiettivo militare di portare la Russia a distogliere forze dal fronte ucraino, per difendere il proprio territorio e riprendere il controllo di quanto temporaneamente occupato dall’Ucraina. In questo modo, colpendo il nemico dove è più debole e non si aspettava un attacco, Kyiv cerca con una manovra indiretta di alleggerire la pressione sul fronte principale, dove la guerra di attrito in corso da oltre un anno favorisce le forze russe che possono contare su una massa maggiore di uomini ed equipaggiamenti e, soprattutto, munizionamento compresi droni e missili.

Dal punto di vista operativo si tratta quindi di una mossa assolutamente sensata, seppur azzardata, condotta tramite un’operazione pluriarma che combina unità meccanizzate, di fanteria e di artiglieria per raggiungere il massimo di efficacia, mobilità e potenza di fuoco a livello locale. Finora la Russia ha cercato di fermare l’incursione senza ritirare forze significative dall’Ucraina, dove anzi ha continuato ad attaccare nell’area di Pokrovsk e Toretsk, impiegando a Kursk unità da altre regioni e soldati di leva. Tale risposta non sembra al momento adeguata a respingere la controffensiva in corso. Mosca ha risposto piuttosto con un massiccio bombardamento sull’Ucraina, uno dei maggiori dall’inizio della guerra: 189 droni Shaheds di provenienza iraniana, 145 missili di crociera X-101 e X-59/69, 6 missili Iskander, 3 missili balistici Kinzhal e 3 supersonici X-22. Bisognerà vedere quanto le limitate forze ucraine saranno in grado di mantenere l’iniziativa, e in che misura e tempi riusciranno quindi a spingere Mosca ad alleggerire davvero la pressione militare sul fronte ucraino.

Obiettivo #2: far sentire a Mosca il costo della guerra

Salendo dal livello militare a quello politico-strategico, la manovra ucraina punta ad indebolire la volontà russa di continuare il conflitto mostrando ad una parte della popolazione, dell’opinione pubblica e dell’establishment il costo concreto (ed il rischio ulteriore) che la guerra ha per il territorio della Federazione Russa, quanto ad esempio ad evacuazioni e distruzioni.

Per quanto l’area occupata dalle forze ucraine sia minuscola rispetto all’intera Federazione Russa, ha un alto valore simbolico poiché è la prima volta dal 1944 che avviene un’occupazione straniera di territorio russo, e ciò ha già portato a circa 200.000 sfollati e alla proclamazione dello stato di emergenza sia a Kursk che a Belgorod. La valenza politico-simbolica di quanto sta accadendo potrebbe indurre la leadership russa a impiegare anche forze attualmente dislocate in Ucraina per porre fine all’umiliazione in corso – obiettivo primario della manovra.

Tuttavia, anche in questo caso bisognerà vedere quanto e come il controllo del regime sulla comunicazione e sulla società russa riuscirà a gestire politicamente la questione. Finora Mosca ha voluto ridimensionare la controffensiva ucraina nella propria narrazione interna, cercando forse di guadagnare tempo per raggruppare forze dai quattro angoli della Federazione Russa e riprendere Kursk senza ritirarsi dall’Ucraina.

Obiettivo #3: motivare ucraini e alleati occidentali

Altro obiettivo politico della manovra, speculare al precedente, riguarda il fronte interno ucraino e gli alleati di Kyiv. Con il coraggio di compiere una mossa rischiosa ma di successo, la leadership ucraina dimostra plasticamente che il destino della guerra non è quello di una lentissima ma costante avanzata russa in territorio ucraino. Ciò aumenta le speranze della popolazione ucraina, provata da oltre due anni di conflitto su larga scala e ad alta intensità combattuto fino allo scorso 6 agosto interamente sul territorio nazionale, di non perdere questa guerra di carattere esistenziale per la propria nazione.

Rispetto agli alleati occidentali, la controffensiva condotta con successo usando anche i loro equipaggiamenti prova che investire nella difesa dell’Ucraina non significa gettare al vento i mezzi donati, perché il Paese ha le risorse umane e morali per combattere le forze russe se gli vengono fornite quelle materiali in quantità, qualità e tempistiche adeguate. Di fronte ad un’opinione pubblica e leadership politica che nelle democrazie occidentali è spesso propensa a “stancarsi” dei costi di un conflitto lontano dai suoi confini, il messaggio politico-simbolico mandato da Kursk è molto importante per diverse capitali europee.

Tre settimane di occupazione di circa 1.300 kmq mostrano inoltre la debolezza russa, sia quanto a forze realmente disponibili per proteggere i propri confini – ridotte al minimo a causa delle perdite e del concentramento delle unità migliori in Ucraina – sia quanto a volontà e capacità di alzare il livello del conflitto. Come avvenuto già diverse volte negli ultimi due anni, dall’invio occidentale di carri armati, missili a lunga gittata ed F16 – recentemente usati per intercettare i missili russi – alla liberazione di Kherson dopo la sua annessione fittizia alla Federazione Russa, fino alla possibilità di colpire con artiglieria e missili occidentali oltre confine russo, l’ennesima linea rossa posta da Putin è stata superata senza conseguenze significative. Il ridimensionamento nella propaganda russa dell’occupazione ucraina a Kursk va nella direzione opposta rispetto a quella di una escalation nucleare, dimostrando come le minacce più o meno velate degli ultimi tre anni da parte della leadership russa al riguardo siano state finora un bluff.

Obiettivo #4: una zona cuscinetto e/o una merce di scambio?

Le autorità ucraine hanno fatto riferimento all’obiettivo di creare una sorta di “zona cuscinetto” in territorio russo per proteggere il nordest dell’Ucraina. Si tratta di un obiettivo più ambizioso e incerto degli altri tre, perché presuppone una serie di condizioni di non facile realizzazione. Da un lato, forze ucraine adeguate per quantità ed equipaggiamenti a difendere efficacemente un territorio che non è il loro, incuneato nella Federazione Russa. Dall’altro, l’incapacità russa di rastrellare truppe sufficienti nel resto del Paese per riprendere l’intera area occupata, e la volontà di Putin di non distogliere formazioni significative dall’Ucraina.

Si aprono al riguardo una serie di incognite. Ad esempio, se le forze armate russe si spostassero significativamente dal Donbass a Kursk, potrebbero correre il rischio di uno sfondamento ucraino nel fronte lasciato sguarnito. Kyiv ha già dimostrato nel 2022 a Kharkiv e Kherson, e nel 2024 in Russia, di saper manovrare rapidamente le proprie truppe cogliendo di sorpresa l’avversario, e la storia potrebbe ripetersi. D’altro canto, la stessa Ucraina sta correndo il rischio calcolato di perdere Toretsk, ai confini del Donbass, pur di colpire la Federazione Russa sul suo territorio.

Nell’ipotesi improbabile ma non impossibile che Kyiv riesca a controllare per molti mesi una porzione della provincia di Kursk, questo sicuramente allontanerebbe la minaccia russa da Sumy ed il nordest ucraino, in termini sia di gittata di artiglieria che di possibili attacchi terrestri, realizzando appunto una “zona cuscinetto”.

Al tempo stesso, il territorio russo occupato dall’Ucraina diverrebbe merce di scambio con quello ucraino sotto occupazione russa. Tuttavia, ciò presupporrebbe a sua volta la volontà di entrambe le parti di sedersi seriamente ad un tavolo negoziale. Volontà che verosimilmente potrà manifestarsi solo quando entrambi saranno certi oltre ogni ragionevole dubbio che non possono vincere militarmente questo conflitto. In quest’ottica estremamente realista basata sui rapporti di forza, la controffensiva ucraina a Kursk di per sé non allontana la pace, anzi: imponendo un ulteriore costo militare e politico alla leadership russa, incide su un calcolo razionale di costi-benefici a favore di un accordo che vedrebbe, tra le altre cose, uno scambio di territori a beneficio anche della Russia.

Una variabile importante ma non decisiva

È tuttavia ancora presto per trarre conclusioni sugli scenari di una zona cuscinetto e/o di uno scambio di territori. Due anni e mezzo di guerra russo-ucraina hanno dimostrato che, in un fenomeno bellico così drammatico e di grande portata, le variabili sono molte e nessuna di per sé è dirimente. Non è stata decisiva la campagna di bombardamenti russi contro le infrastrutture energetiche ucraine – tutt’ora in corso – né il fatto che gli ucraini abbiano decimato la flotta di Mosca nel Mar Nero e riescano ad esportare buona parte dei propri prodotti. Non sono stati decisivi per una vittoria ucraina le donazioni occidentali di carri armati e missili a lunga gittata, ma nel complesso – insieme a tutti gli altri mezzi e munizioni, all’addestramento, intelligence e finanziamenti forniti dagli alleati – sicuramente tale supporto ha contribuito ad evitare una vittoria russa. Così come l’impiego dei primi caccia F16 rafforza la difesa aerea ucraina e abilita gli attacchi in profondità sulle linee russe, ma non cambia il fatto che nessuna delle due parti ha una chiara superiorità aerea. Specularmente, la coscrizione nel 2022 di oltre 200.000 nuove reclute o l’impiego di missili ipersonici piuttosto che droni iraniani o munizioni nordcoreane, o il ricorso a mercenari da Africa e America centrale, non hanno portato la Russia oltre il 20% del territorio ucraino che controllava a fine 2022.

Similmente, è troppo presto per dire se la controffensiva ucraina a Kursk sarà un elemento decisivo del conflitto. Per ora ha rafforzato il morale ucraino ed il supporto internazionale in una fase molto difficile per Kyiv, ha dato un colpo alla leadership di Putin, e soprattutto ha posto le condizioni per un alleggerimento nel medio periodo della pressione militare russa in Ucraina. Non poco, per un Paese che secondo osservatori superficiali o in malafede era senza speranza e avrebbe dovuto arrendersi già due anni e mezzo fa all’invasore, mentre ancora ad oggi l’esito del conflitto è incerto e aperto a diversi scenari.

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