La nuova legislatura europea che si è aperta lo scorso dicembre è caratterizzata da una serie di nuovi equilibri e squilibri istituzionali, che hanno determinato nuove dinamiche. Sarà vitale, per l’Unione europea, trovare il modo di funzionare e di mantenere l’unità interna anche in questa situazione e durante una fase di grandi mutamenti internazionali.
Se guardiamo all’interno delle istituzioni, le elezioni europee e quelle nazionali che si sono susseguite nel super anno elettorale del 2024 (con la coda di quelle tedesche del 2025) hanno fatto registrare un consenso crescente per forze radicali ed euroscettiche che influenzano le maggioranze al Parlamento europeo, ma anche l’agenda della Commissione e del Consiglio europeo.
Al Parlamento europeo ha sostanzialmente tenuto una maggioranza centrista, moderata e pro-europea, formata dal Partito Popolare Europeo (PPE), dai Socialisti e Democratici, dai Liberali e dai Verdi. Questa stessa coalizione ha eletto Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato come Presidente della Commissione europea con 401 voti, una quarantina in più del minimo necessario. Quasi tutti i partiti estremisti hanno votato contro di lei, segnando una chiara linea di demarcazione tra maggioranza e opposizione. L’opposizione resta divisa tra il gruppo dei “Conservatori e Riformisti Europei” (ECR) guidato fino allo scorso anno da Giorgia Meloni, il neonato gruppo “Patrioti per l’Europa”, al quale appartiene anche la Lega, e il gruppo “Europa delle nazioni sovrane” guidato da Alternative für Deutschland (AfD). Per tenere salda la maggioranza, è stato applicato il “cordone sanitario”, che impedisce ai rappresentanti dei “Patrioti per l’Europa” e dell’”Europa delle nazioni sovrane” – ma non a ECR – di assumere posizioni rilevanti nelle commissioni del Parlamento europeo. Allineamenti alternativi alla maggioranza, in particolare tra PPE e ECR, si sono già verificati, ad esempio per il rinvio e l’indebolimento della legge sulla deforestazione nel novembre 2024, e non è escluso che si ripetano nel corso di questa legislatura.
Mutano le diverse composizioni degli organi politici
Anche al Consiglio europeo si registra uno spostamento a destra. Con le elezioni in Belgio e in Germania, il numero dei rappresentanti di ECR equivale a quello dei rappresentanti dei Socialisti e Democratici, mentre la maggioranza resta salda in capo al PPE. Trovare il consenso a 27 sta diventando sempre più complicato, tant’è vero che negli ultimi Vertici è stato necessario ricorrere ad espedienti di vario tipo per far passare decisioni necessarie ed urgenti: ad esempio quando il leader ungherese Orban è uscito dalla sala per permettere al Consiglio europeo di votare l’avvio dei negoziati di adesione di Kyiv, oppure allegando alle conclusioni formali dei Vertici le deliberazioni sul sostegno all’Ucraina concordate a 26, di nuovo senza l’Ungheria. E questa tendenza è destinata ad accentuarsi nella prospettiva di un ulteriore allargamento.
L’attivismo estremo della Commissione
Anche la composizione della nuova Commissione voluta dalla Presidente von der Leyen presenta alcuni elementi nuovi, tra i quali il più evidente è un’estrema frammentazione delle competenze tra i Commissari sui principali dossier. Ne sono un esempio il Clean Industrial Deal, che ricade sotto ben tre Commissari: Teresa Ribera, Vicepresidente esecutiva per la transizione pulita, giusta e competitiva, Stéphane Séjourné, Vicepresidente esecutivo per la prosperità e la strategia industriale e Wopke Hoekstra, Commissario per il clima, l’azzeramento delle emissioni nette e la crescita pulita. Oppure il Libro Bianco sulla Difesa, che è nelle mani di Kaja Kallas, vicepresidente, Alta rappresentate per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Andrius Kubilius, Commissario per la difesa e lo spazio. Di recente, il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha promosso un’interrogazione in cui si contesta che “non esiste un Commissario designato con un portafoglio chiaro per il mercato interno e la tutela dei consumatori”. Avere incarichi in parte sovrapponibili e con obiettivi comuni rende poco chiari i limiti entro i quali ciascun Commissario riesce ad operare, e finisce per accentrare il processo decisionale nelle mani della Presidente von der Leyen. Questa tendenza è stata confermata anche dalla decisione di von der Leyen di istituire 14 “Gruppi di progetto” composti dai diversi Commissari che si occupano di definire iniziative e coordinare il lavoro nelle diverse aree prioritarie d’azione della Commissione.
Questo marcato rafforzamento delle prerogative della Presidente della Commissione sta influenzando anche le dinamiche inter-istituzionali, realizzando fughe in avanti potenzialmente anche a scapito dei centri di potere intergovernativi. Un ambito in cui questo è particolarmente marcato è quello della difesa, un settore che è ancora di competenza prevalentemente nazionale e in cui le principali decisioni sono soggette alla regola del consenso in sede in Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea. La Commissione, sfruttando al massimo le sue prerogative in tema di politica industriale della difesa, ha prima istituito il nuovo ruolo di Commissario per la difesa e ha poi proposto due iniziative di primo piano per rispondere alle esigenze di un maggiore impegno europeo: il piano RearmEu, poi ridenominato Readiness 2030, e il Libro Bianco sulla Difesa. Gli Stati membri riuniti in Consiglio e Consiglio europeo hanno reagito sostenendo queste iniziative, ma avanzando anche diverse critiche e richieste di modifica. In generale, quello che emerge è un attivismo estremo della Commissione, senza però una chiara copertura politica dei 27 Stati membri. Invece di tradursi in un rafforzamento della dimensione sovranazionale delle politiche europee, l’attivismo della Commissione rischia di produrre un disequilibrio nell’architettura istituzionale e in un mancato impegno politico da parte delle capitali in iniziative comuni, aumentando le già significative spinte centrifughe che arrivano da dentro e da fuori l’Unione.
Per resistere all’impatto di queste trasformazioni, la nuova leadership europea dovrebbe imparare rapidamente a navigare nel nuovo ambiente politico e pensare seriamente di mettere in cantiere una serie di riforme istituzionali quanto mai necessarie per superare lo stallo nel processo decisionale intergovernativo, riformare la composizione della Commissione anche con un ridimensionamento del numero dei Commissari, bilanciare in modo più funzionale le prerogative delle diverse istituzioni. Insomma, in questa legislatura l’Unione europea si muove in bilico tra nuovi equilibri e rischi di frammentazione. Alla fine, come sempre, la funzionalità delle procedure decisionali e la chiara definizione delle rispettive responsabilità saranno essenziali per realizzare le politiche nei vari settori e sostenere la competitività europea. Jean Monnet diceva: “Niente è possibile senza gli uomini, niente dura senza le istituzioni”.
Responsabile del programma Ue, politica e istituzionie responsabile delle relazioni istituzionali dell’Istituto Affari Internazionali. Si occupa di governance dell’Unione europea, aspetti politici e istituzionali della Pesc/Psdc, gestione civile delle crisi, rapporti tra Ue e Nazioni Unite e relazioni Ue-Africa.