Meloni contro il Manifesto di Ventotene: un attacco all’eredità di Spinelli e all’europeismo italiano

Fare l’esegesi di un testo, il Manifesto di Ventotene, scritto 84 anni fa in piena guerra mondiale e sotto una feroce e ottusa dittatura è quanto meno singolare. Estrapolare poi due o tre frasi scelte strumentalmente per sostenere le proprie tesi politiche è piuttosto ridicolo se non offensivo.

Ma almeno le parole pronunciate alla Camera dalla premier Giorgia Meloni chiariscono un dubbio che circolava fin dall’inizio del suo governo: Meloni sta con l’Europa o no? La risposta oggi è netta. Giorgia Meloni non è un’europeista, non lo è mai stata neppure quando corteggiava Ursula von der Leyen o appoggiava con nettezza l’aiuto finanziario e militare a Kyiv. Attaccare la proposta visionaria e profondamente rivoluzionaria di Spinelli, Rossi e Colorni è un atto antistorico e autolesionista, particolarmente oggi in una contingenza geopolitica in cui emergono in tutta la loro drammaticità l’isolamento e i limiti funzionali di un’Unione ancora incompleta e certamente lontana dal sogno spinelliano.

Manca ancora quel necessario passaggio verso un’autentica federazione che possa fornire all’Ue gli strumenti, politici e decisionali, per giocare un ruolo di credibile attore internazionale in un mondo ormai del tutto multipolare. Federazione per la quale ha combattuto tutta la vita Altiero Spinelli sia come fondatore nel 1965 dell’Istituto Affari Internazionali al fine di elaborare analisi, proposte e iniziative per rafforzare la nascente Comunità Europea, sia nei suoi passaggi alla Commissione e al Parlamento europeo con il progetto di un Trattato sull’Unione Europea. Insomma, vanificare la grande opera intellettuale e politica di Spinelli con poche e offensive citazioni non è stato davvero un bello spettacolo e non fa onore all’intelligenza della nostra attuale leader.

D’altronde a sostenere la necessità vitale di una funzione di governo che sia davvero comune e sovranazionale a Bruxelles sono anche i predecessori della Meloni, Enrico Letta e Mario Draghi che in omaggio allo storico europeismo del nostro paese (fra cui proprio il Manifesto), sono stati scelti per scrivere i due rapporti chiave sul futuro dell’Ue.

Al contrario, le frasi della Meloni e il suo comportamento in Europa non passeranno davvero inosservati fra i nostri partner europei. Ciò non potrà fare altro che rafforzare la tradizionale opinione europea sull’inaffidabilità del nostro Paese. Se davvero a Meloni importa difendere il nostro interesse nazionale nell’Unione non è questo davvero il modo di riuscirci. Se la ragione tattica del suo attacco al Manifesto è quella di pagare pegno alle posizioni anti-europee della Lega, non è certo un problema che riguarda i nostri partner.

Alla fine a perderci davvero è l’Italia. Non vorremmo essere costretti a ricorrere al grande Roberto Benigni per difendere, come ha fatto nello show televisivo in Eurovisione, gli “eroi” di Ventotene per riscattare la nostra passata storia europea. Dovrebbero essere le forze politiche a comprendere che oggi siamo davvero di fronte ad un tornante storico: o “si fa l’Europa o si muore”.

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Esperto di questioni europee e di politica estera, è Presidente del Comitato dei Garanti e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali. È pubblicista e editorialista per Vita trentina (dal 2019) e Corriere del Trentino – Gruppo Cds (dal 2020).

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