L’obiettivo dell’asse Trump-Musk

Un vento di estrema destra sta soffiando sull’Atlantico. Anche se il balzo della destra populista in Europa ha preceduto la rielezione di Donald Trump, l’estrema destra europea è ulteriormente rafforzata dal suo ritorno e dall’ascesa di Elon Musk come astro nascente della politica. Si spera che la presidenza Trump possa avere un effetto unificante sull’Europa, ma probabilmente complessivamente avrà l’effetto opposto.

L’evidente disprezzo di Trump per il diritto internazionale, i confini sovrani, la Nato e l’Unione europea ha suscitato una reazione unitaria da parte di Francia, Germania e Spagna in particolare. Ma in settori come il commercio, la tecnologia e lo spazio, è molto più probabile che un’Europa più nazionalista, di fronte a una potenza predatoria come gli Stati Uniti di Trump si frammenti anziché restare unita. Ed è proprio questo l’obiettivo dell’asse Trump-Musk.

La seconda ondata di nazional-populismo sta attraversando l’Europa da più di due anni, dopo una temporanea pausa durante la pandemia e il primo anno di guerra in Ucraina. Dalla fine del 2022, i partiti di estrema destra sono entrati al governo o hanno fornito un appoggio esterno in Svezia, Finlandia e Croazia. In Italia, Giorgia Meloni guida un governo di coalizione di destra, mentre nei Paesi Bassi il Partito per la Libertà di estrema destra di Geert Wilders è l’azionista di maggioranza dell’esecutivo tecnico.

Questa tendenza sembra destinata a rafforzarsi: in Austria il leader di estrema destra Herbert Kickl è stato incaricato di formare un governo, mentre 

in Romania, le elezioni presidenziali, già annullate nel 2024 a causa di interferenze di massa via social a sostegno del candidato di estrema destra Călin Georgescu, potrebbero comunque far registrare un’altra ondata di consensi per Georgescu. Anche nella Repubblica Ceca le elezioni riporteranno probabilmente al potere il partito populista Azione dei cittadini insoddisfatti (Ano) di Andrej Babiš e persino in Francia, se l’ultimo tentativo di Emmanuel Macron di costituire un governo stabile guidato da François Bayrou dovesse fallire, l’ascesa al potere del Rassemblement National di Marine Le Pen potrebbe diventare inarrestabile. 

 I partiti di estrema destra assumono forme diverse in Europa e sono ancora lontani dal rappresentare una minoranza di blocco nell’Ue. Ma stanno crescendo in forza e numero, hanno fatto progressi nel coordinarsi tra loro nelle istituzioni europee e sono sempre più efficaci nell’influenzare il centrodestra, erodendo e cancellando il ‘cordone sanitario’ che li ha tenuti fuori dal potere per decenni. Per ora il cordone sanitario in Germania regge, ma qualora l’Afd dovesse affermarsi come il principale partito di opposizione dopo le elezioni federali il 23 febbraio, i primi segnali di cedimento potrebbero manifestarsi anche in Germania. In questo contesto, Trump 2.0 e Musk entrano nella mischia, senza fare mistero delle loro preferenze politiche in Europa. 

E non tutti i leader europei sono così critici come i tedeschi, i francesi e gli spagnoli: Orbán e Meloni si sono astenuti dal criticare Trump o Musk, ricevendo in cambio solo elogi.

L’Europa teme il secondo governo di Trump 

L’Europa è impaurita dal ritorno di Trump, temendo un ritiro degli Usa dalla sicurezza europea, a partire dall’Ucraina, una guerra commerciale transatlantica e l’indebolimento del multilateralismo. La domanda è chi potrebbe essere il possibile costruttore di ponti attraverso l’Atlantico. La verità è che non ce n’è uno, o almeno, non c’è nessuno che possa sussurrare all’orecchio di Trump per assicurarsi che gli interessi europei siano protetti.

Alcuni candidati sono già squalificati: Orbán, nonostante i legami con Trump, si è emarginato nell’Ue ed è improbabile che recuperi la sua reputazione; Macron, pur avendo un rapporto relativamente buono con Trump, è debole sul piano interno; Tusk, invece, forte in patria e presidente di turno dell’Ue, può vantare una spesa per la difesa che raggiunge il 4,7% del PIL, ma i rapporti con Trump durante la sua presidenza al Consiglio europeo erano stati tutt’altro che ottimali.

Per questo molti guardano a Meloni, che si vanta del suo rapporto con Trump e Musk e non si è emarginata in Europa come Orbán. Ma Meloni è una nazionalista, non certo un’Europeista, che userà sempre il proprio capitale politico per promuovere gli interessi nazionali, prima di quelli europei. Probabilmente cercherà di attutire i colpi di Washington legati al significativo surplus commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti e alla spesa per la difesa, che non raggiunge l’1,5% del PIL. E’ probabile che in cambio di eventuali vittorie, Meloni dovrà fare delle concessioni, e non tutte sono negative per l’Europa. Spendere di più per la difesa o acquistare più gas naturale liquefatto statunitense, ad esempio, avrebbe senso sia per l’Italia che per l’Europa. Ma altre mosse potrebbero essere più problematiche, a partire dal possibile accordo da 1,6 miliardi di euro tra l’Italia e SpaceX di Musk per fornire servizi di comunicazione alle istituzioni italiane, compresa la difesa, attraverso la tecnologia Starlink. Sebbene Starlink sia sicuro, affidarsi a un’azienda straniera di proprietà dell’uomo più ricco della Terra con manifesti interessi politici comporta enormi rischi per la sicurezza del Paese e dell’Europa. Idem sul commercio. Se Meloni riuscisse a strappare qualche concessione bilaterale da Trump, senza che queste si inquadrino in una posizione comune Ue, non solo l’Italia non rafforzerebbe l’Europa ma contribuirebbe a smembrarla in una delle competenze sovranazionali dell’Ue.

La paura sta generando una spasmodica ricerca di qualcuno che possa parlare con Trump in Europa. Ma tali figure potrebbero rivelarsi inefficaci nel migliore dei casi. Nel peggiore, anziché agire da testa di ponte dell’Europa a Washington potrebbero rivelarsi teste di ponte Trumpiane in Europa. Chi sussurra all’orecchio di Trump è molto più probabile che promuova gli interessi di Trump in Europa, piuttosto che gli interessi europei negli Stati Uniti. Invece di preoccuparsi di Trump, l’Europa farebbe meglio a restare unita e a preoccuparsi di più di se stessa.

Direttore dell'Istituto Affari Internazionali, part-time professor alla School of Transnational Governance dell'European University Institute, professore onorario all’Università di Tübingen e amministratore non esecutivo e indipendente di Acea.

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