L’Istituto non conformista

Altiero Spinelli ha fondato l’Istituto Affari Internazionali nel 1965, in un periodo di grandi mutamenti globali e di forti divisioni europee. In quegli anni, prima la costruzione del muro di Berlino, poi la crisi dei missili a Cuba, avevano portato il mondo sull’orlo del baratro nucleare. Due nuovi leader, Kennedy e Krusciov, ne avevano approfittato per iniziare a trasformare i rapporti tra le superpotenze. Il processo venne poi rallentato dall’assassinio di Kennedy, dal peso crescente della guerra in Vietnam nella politica americana, e infine dalla rimozione dello stesso Krusciov.

Ma intanto l’Europa doveva fronteggiare il mutamento senza avere gli strumenti adatti, specie nel campo militare, e profondamente divisa dalle scelte del generale De Gaulle di opporsi ad una crescita delle istituzioni comunitarie (come quella proposta dall’allora Presidente della Commissione Hallstein), prima difendendo una visione strettamente intergovernativa (piano Fouchet) e poi attuando la strategia della “sedia vuota”, che paralizzava il Consiglio dei Ministri.

Spinelli era certo in primo luogo un politico, con una visione di lungo termine di un’Europa integrata e democratica, ma era anche un realista, con una grande capacità di cogliere, in ogni situazione, gli spazi che avrebbero potuto aprire nuove prospettive. E la sua idea fu che in questa fase l’Italia, allora governata da deboli coalizioni di centro-sinistra, dovesse entrare di più e meglio nel grande dibattito internazionale, non tanto tra i governi, dove era comunque, bene o male, rappresentata, quanto nella società civile, dove era quasi del tutto assente, a fronte di una folta partecipazione europea e transatlantica.

Lo IAI servì da porta di accesso al dibattito e insieme da centro di formazione di giovani esperti, lasciando fuori, nelle sue parole, le “eminenze” e la loro “autorevole insipienza”. I giovani ricercatori, tra cui il sottoscritto, dovevano conoscere i problemi ed individuare politiche al loro riguardo che non fossero né immobiliste né nazionaliste: i due peccati mortali che bisognava evitare. Per il resto non vi era alcuna censura, salvo quelle legate al rispetto dei fatti, alla logica dell’argomentazione e alla pulizia dello stile.

Non sempre era facile, né questo assicurava facilmente appoggi o consensi a livello internazionale. Ricordo ancora uno dei miei primi convegni internazionali, negli anni ‘60, durante il quale un Assistant Secretary General della Nato mi aveva preso di punta perché avevo osato scrivere che nel Mediterraneo, regione meridionale della Nato, l’Alleanza si riduceva sostanzialmente ai soli rapporti bilaterali, ben distinti tra loro, che gli Stati Uniti mantenevano con gli alleati di Portogallo, Italia, Grecia e Turchia. La cosa era imbarazzante anche perché a chiudere il convegno sarebbe venuto Manlio Brosio, l’unico italiano che abbia mai ricoperto il ruolo di Segretario Generale. Venni però salvato in extremis da un intervento del rappresentante permanente turco al Consiglio Atlantico, che appoggiò la mia tesi, inclusa l’idea che un allargamento della Comunità europea avrebbe forse mutato la situazione.

Complicati anche i rapporti con gli studiosi italiani e la pubblica amministrazione. Oggi il legame tra lo IAI egli istituti universitari è intenso e continuo, ma agli inizi eravamo ascoltati solo da pochi professori “amici”. Ancora più complesso il rapporto con le amministrazioni “vicine” ai nostri interessi come gli Esteri o la Difesa.

Spinelli aveva preso molto sul serio il campo degli studi strategici, anche perché erano centrali nel dibattito americano ed erano invece uno dei punti di maggiore debolezza nel dibattito europeo. Avevamo pochissimi interlocutori italiani, ma in compenso eravamo in stretto contatto con molti interlocutori esteri a loro volta influenti nei loro paesi, e questo cominciò ad aprire alcune porte. Anche in quel caso con effetti a volte sconcertanti.

Alla fine degli anni ‘60 venni distaccato come ricercatore al prestigioso Istitute of Strategic Studies di Londra (Spinelli era membro del suo Consiglio direttivo). Tra i mie compiti c’era anche quello di aiutare a compilare la pubblicazione più nota dell’Iss, l’annuario The Military Balance, che ancora oggi descrive in dettaglio le capacità militari di ogni paese al mondo. L’Italia era considerata un paese “difficile” perché non rispondeva mai alle richieste di chiarimento. Venne quindi deciso di spedire il ricercatore italiano a Roma per ottenere qualche risposta. Per facilitarmi il compito, l’Iss inviò tramite l’ambasciata una lettera ufficiale al Ministro della Difesa, annunciando il mio arrivo e lo scopo della visita. Fu così che, arrivando al portone di via XX Settembre trovai un carabiniere che mi spiegò in inglese che mi stavano aspettando. Venni ricevuto in una grande sala con tavolo rotondo da una trentina circa di generali ed un interprete. La cosa più delicata fu spiegare che il mio italiano era di livello “madrelingua”.

Anche in questo campo, la capacità di Spinelli di rigirare il problema in modi nuovi ed inaspettati portò ad un dibattito interessante. Erano, con l’inizio della distensione, l’adozione della strategia nucleare della risposta flessibile e i negoziati per il controllo degli armamenti, anni in cui gli alleati europei si domandavano dove volessero andare gli americani, e se lo avrebbero mai fatto sapere in tempo utile agli alleati. In quell’occasione Alistair Buchan, fondatore dell’Iss, osservò che, se veramente si voleva partecipare al dibattito americano, in tempo reale, bisognava essere a Washington e non a Bruxelles, e proponeva quindi di spostare nella capitale americana i ministri europei della Difesa. In effetti la tesi era che la difesa europea era solo una sezione della difesa americana e come tale dovesse essere gestita.

Spinelli non contestò affatto questa tesi, ma osservò che per partecipare bisogna anche contare: che cioè gli americani avrebbero comunque continuato ad ignorare gli europei se questi non avevano un diritto di voto sulle decisioni finali. In sostanza l’ambiguità dell’Alleanza era destinata a durare, a meno che l’Alleanza stessa non si fosse trasformata in una organizzazione sovranazionale. Altrimenti la via maestra restava quella dello sviluppo di alcune capacità autonome europee.

Si può dire che il realismo di Spinelli non fu mai acquiescenza, ma spunto critico per liberarsi di molti orpelli retorici e pessimismi reazionari, per concentrarsi là dove poteva valere la pena.

Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali e direttore editoriale di AffarInternazionali. È stato presidente dello IAI dal 2001 al 2013. È editorialista de Il Sole 24 Ore dal 1985. È stato sottosegretario di Stato alla Difesa (gennaio 1995-maggio 1996), consigliere del sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari europei (1975), e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi. Ha svolto e svolge lavoro di consulenza sia per il Ministero degli Esteri che per quelli della Difesa e dell'Industria.

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