L’Europa della difesa al bivio: il meglio è nemico del bene

La competizione globale ha cambiato forma e tono, imbarbarendosi e dimenticando persino il linguaggio di ogni civile confronto. Gli impegni internazionali, presi dagli Stati e non dai Governi, sembrano essere considerati da molti governanti carta straccia e, nella nuova giungla globale, si torna a far valere la legge del più forte. Le nuove potenze mondiali e regionali crescono velocemente e pesano sempre più nello scenario internazionale. I loro sistemi politici, più o meno lontani dal modello democratico occidentale, si caratterizzano per il principio di un uomo solo al comando e della logica dell’esclusione (se non altro politica), anziché dell’inclusione. Questo è, in fondo, il nuovo mantra persino della nuova amministrazione americana.

Il mancato rispetto degli impegni internazionali è il tratto saliente dell’attacco russo all’Ucraina infrangendo, insieme, i principi dell’integrità territoriale di un Paese sovrano e del diritto internazionale umanitario. Ma anche il tratto comune delle recenti decisioni americane è quello di considerare cancellabile, attraverso una forzatura dei poteri presidenziali previsti per le emergenze e per di più immediata operatività, ogni impegno internazionale precedente, e di poterlo fare grazie alla preventiva assunzione del controllo politico del potere legislativo e giudiziario federale.

Per l’Unione Europea, così come è stata fino ad ora progressivamente costruita, si è trattato di un brusco risveglio perché ha messo in discussione, insieme, le sue certezze politiche, economiche, commerciali, militari a livello internazionale. Ha, di fatto, decretato la sconfitta, in questa fase storica, della supremazia del “soft power”, della forza economica su quella politico-militare, del confronto esclusivamente e preventivamente diplomatico e persino della deterrenza fornita dagli alleati anziché di quella garantita dalle proprie capacità di difesa e sicurezza.

ReArm Europe, la proposta della Commissione Europea

È in questo contesto che va valutata la proposta ReArm Europe della Commissione Europea: una denominazione forse brutale, ma volta a mettere l’opinione pubblica e molti governanti di fronte “alla grave natura delle minacce che affrontiamo”.

Per fare le guerre il motto napoleonico sosteneva che servono “Soldi, soldi, soldi” e poi, ovviamente, tutto il resto: eserciti addestrati e equipaggiati, strutture di comando, strategie, logistica, produzioni industriali, sostegno popolare, ecc. Questo vale anche per fare la pace perché la deterrenza o è credibile o non c’è. In fondo, l’aver posto oggi in primo piano l’esigenza di investire 800 miliardi di euro sulla spesa militare europea entro fine decennio conferma quanto insegna la storia. La cifra non è casuale perché coincide con la stima di quanto serve per sviluppare e cominciare a produrre gli equipaggiamenti europei che devono e possono aumentare le nostre capacità di difenderci seriamente: un sistema di difesa anti-missili, droni, aerei in grado di coprire l’intero continente; un sistema di sistemi aereo (pilotato e non pilotato) di nuova generazione capace di gestire i relativi “effettori” (missili, droni, bombe); un sistema satellitare europeo integrato, protetto e resiliente (allarme precoce, osservazione, comunicazioni, posizionamento satellitare); un insieme di sistemi terrestri e aerei (pilotati e non) in grado di proteggere i nostri confini orientali e settentrionali, in grado anche di trasferire forze armate e mezzi dove servono; un insieme di sistemi navali di superficie e subacquei e aerei (pilotati e non) in grado di proteggere i nostri confini meridionali, orientali e settentrionali e gli interessi europei a livello internazionale. L’obiettivo si situa su una posizione intermedia fra i 500 e i 1000 miliardi proposti da due autorevoli Commissari della precedente Commissione: il centrista francese Breton e il popolare italiano Gentiloni, non certo due “guerrafondai”.

Questo proposto finanziamento sarebbe ottenuto con 150 miliardi a carico del bilancio comunitario e 650 miliardi a carico dei bilanci nazionali. Quest’ultimo aspetto desta qualche perplessità per diverse ragioni: rende più difficile vincolare le nuove risorse al raggiungimento di una maggiore autonomia strategica europea e, quindi, si rischiano di finanziare troppi acquisti extra-europei e troppi programmi nazionali; non favorisce una riduzione dell’eccessivo ventaglio attuale (una delle principali debolezze europee) e nemmeno la comunalità dei mezzi in servizio (unica possibile base per una difesa europea più efficiente); non da alcuna certezza per il prossimo decennio col rischio di disincentivare gli investimenti industriali. Un apporto equilibrato di risorse europee e nazionali (fuori dal Patto di Stabilità e garantite a livello europeo) darebbe, invece, un messaggio più europeo e consentirebbe ad un maggior numero di Stati membri di non andare a debito, riducendo le implicazioni per l’euro sul mercato finanziario internazionale.

Quanto alle risorse fornite dai bilanci nazionali (a debito e non), una parte (forse 200 miliardi) potrebbero arrivare da investimenti privati (garantiti sempre a livello europeo), come proposto dall’Italia. Questi potrebbero essere utilizzati per aumentare le capacità produttive e/o la razionalizzazione e l’ammodernamento degli impianti industriali e, quindi, sarebbero esclusi dal computo del debito pubblico e potrebbero essere poi messi, in parte, a carico dei costi di produzione.

Il ruolo dell’Agenzia europea della difesa

Un secondo problema riguarda l’impiego di queste risorse aggiuntive. L’elenco non esaustivo delle esigenze prima indicate satura sicuramente l’intero finanziamento previsto. Per essere efficace i singoli progetti dovrebbero, però, essere realmente “europei”: a certificarlo, sulla base delle attività intergovernative svolte con CARD e CDP, potrebbe essere l’EDA, l’Agenzia europea della difesa, nata venti anni fa per coordinare i Paesi europei verso integrazione e comunalità, ma che, non avendo ricevuto risorse finanziarie per incentivarli, ha potuto fino ad ora svolgere solo un compito limitato. In quest’ottica la partecipazione di perlomeno cinque paesi ad ogni progetto potrebbe essere utile per rafforzare la logica della comunalità europea.

L’avvio contemporaneo dei diversi progetti, consentito dall’ampiezza finanziaria di ReArm Europe, potrebbe consentire di andare incontro alle esigenze di molti Stati membri e di diverse imprese, raccogliendo di conseguenza un maggiore consenso. Altro vantaggio sarebbe quello di sgravare i bilanci nazionali da quei programmi che, per le loro dimensioni finanziarie, tecnologiche, industriali, temporali, dovrebbero comunque essere gestiti in collaborazione europea. Ovviamente le risorse così liberate potrebbero poi essere usate per specifiche esigenze nazionali.

In generale, una particolare attenzione dovrebbe essere prestata nel cercare un punto di equilibrio che limiti al massimo le esigenze di breve periodo (ricostituzione di scorte, in particolare munizionamento e missili, e mezzi) a favore di quelle di medio e lungo periodo, privilegiando fra queste ultime, l’innovazione tecnologica e il potenziamento delle capacità industriali (attraverso nuovi impianti, razionalizzazione e ammodernamento di quelli attuali, concentrazione e ristrutturazione del settore) in modo da esercitare una maggiore deterrenza, non solo e non tanto oggi, ma soprattutto domani.

Ma vi è un prezzo da pagare perché, in ogni caso, la definizione di tutte queste possibili iniziative non deve danneggiare il raggiungimento del primo traguardo: investire subito nella difesa e sicurezza del territorio e dei cittadini europei per recuperare il ritardo accumulato. La saggezza ci ricorda che “La fretta è nemica del bene”, ma in questo momento la gravità dello scenario internazionale ci impone di far prevalere il principio che “Il meglio è nemico del bene”.

Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali. Dal 1984 svolge attività di studio e consulenza nel settore aerospaziale sicurezza e difesa per conto di organismi pubblici, di centri e istituti di ricerca, di società, di associazioni industriali. Dal 1992 al maggio 2018 è stato consulente della Presidenza del Consiglio presso l’Ufficio del Consigliere militare per le attività nel campo della difesa. Dal 2001 al 2017 è stato consulente del Ministero della Difesa – Segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti – per gli accordi internazionali riguardanti il mercato della difesa. Dal 2014 al maggio 2018 è stato consigliere per gli affari europei del Ministro della Difesa e dal giugno 2020 ha riassunto lo stesso incarico.

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