L’Europa al confronto con Trump

La politica estera del nuovo Presidente americano è eversiva quanto quella che sta attuando sul fronte interno. È connotata da un approccio esplicitamente transazionale nei rapporti fra Stati, da scarsa considerazione per le regole che presiedevano ai rapporti fra Stati e per le alleanze tradizionali, e dal ricorso spregiudicato alla logica del più forte. In sintesi, Trump sta facendo saltare i tradizionali parametri di riferimento della politica estera americana. Con il risultato di provocare una pericolosa instabilità del contesto internazionale.

Ma Trump sta provocando anche una crisi nel rapporto transatlantico, particolarmente evidente almeno su quattro fronti: misure protezionistiche, guerra in Ucraina, sicurezza e difesa, e più in generale sul tema dei valori e dei principi fondanti.

Le cause dei dazi

La politica commerciale di Trump è caratterizzata da un’autentica ossessione per gli squilibri della bilancia commerciale americana e dalla decisione di utilizzare i dazi sulle importazioni negli Usa come strumento di politica economica. Dopo aver adottato dazi generalizzati sulle importazioni di acciaio, alluminio e, successivamente, auto, Trump ha annunciato il 2 aprile – con una cerimonia tanto spettacolare quanto surreale – nuovi dazi (differenziati e qualificati come “reciproci”) sulle importazioni da circa una sessantina di Paesi, motivati dalla necessità di rispondere a dazi e altre barriere non tariffarie praticate da partner commerciali degli Usa (peraltro calcolati con metodi opinabili). Nell’ottica del Presidente americano, i dazi americani avrebbero il triplice obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale degli Stati Uniti, recuperare risorse finanziarie per ridurre il deficit del bilancio federale, e incentivare investimenti esteri per attività produttive negli Usa.  

Le decisioni annunciate da Trump segnano una svolta di portata epocale e sono destinate a provocare reazioni pesanti sull’economia americana e globale, incertezze sulle scelte degli investitori, e rischi sui mercati finanziari e sulle quotazioni di borsa, con la prospettiva di avvio di una recessione globale. Anche l’Ue è stata colpita con dazi del 20% apparentemente su tutte le importazioni europee negli Usa, che si sommano ai dazi già in vigore su acciaio, alluminio e auto. Sono quindi misure che colpiscono direttamente anche rilevanti interessi europei, rendendo complessivamente più complicato per gli europei trattare con la nuova Amministrazione americana. 

Sulla guerra in Ucraina, Trump, confermando le promesse della campagna elettorale, ha avviato un’iniziativa diplomatica mirata alla ricerca di una cessazione del conflitto. I tentativi di mediazione stanno procedendo tra molte difficoltà. Non è chiaro se a un certo punto Trump dovrà concludere che le condizioni che Putin cercherà di imporre sono inaccettabili. Tuttavia, finora Trump ha spiazzato gli europei aprendo un canale di dialogo bilaterale con Putin, legittimandolo come interlocutore affidabile e dando l’impressione di condividere la narrazione russa sulle origini e responsabilità del conflitto. Ha inoltre deliberatamente escluso gli europei da questa iniziativa, con la prospettiva che questi ultimi – oggi all’oscuro delle vere intenzioni di Trump – possano essere chiamati a svolgere un ruolo dopo un eventuale accordo, sia per la definizione di credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina, che per la sua ricostruzione.

Sul fronte della sicurezza e della difesa, è per ora improbabile che si concretizzi il rischio di un esplicito disimpegno americano dalla Nato. Tuttavia, aumenteranno le pressioni americane sugli alleati europei per una maggiore spesa per la loro difesa. La richiesta non è nuova, ma potrebbe diventare più stringente, al punto da condizionare l’impegno americano per la sicurezza dell’Europa a concreti risultati nella direzione dell’assunzione di maggiori responsabilità da parte degli europei. Ne consegue che appaiono più che legittimi i dubbi sulla stessa credibilità di un’eventuale mobilitazione degli Usa in caso di minacce alla sicurezza degli alleati europei.

Infine l’involuzione autoritaria imposta da Trump sul fronte interno (con gli attacchi alle politiche di inclusione e diversità, ai media e alla magistratura, alle università, agli studi legali, a chiunque osi contestare le politiche dell’Amministrazione americana) rimette in discussione un sistema di valori una volta considerati patrimonio comune dell’Occidente. Tutto ciò rischia di provocare un effetto imitazione anche in Europa, rafforzando i consensi per le formazioni politiche dichiaratamente nazionaliste, sovraniste ed euro-scettiche. Potrebbe inoltre accentuare le divisioni fra Paesi dell’Ue con conseguenze sulla compattezza della posizione dell’Ue.

Il risveglio europeo

Nel frattempo la linea della nuova Amministrazione americana sta stimolando un risveglio di iniziative da parte europea, non tutte lineari, coerenti o istituzionalmente corrette, ma animate dall’intenzione di recuperare un protagonismo da tempo smarrito ma che si impone date le circostanze. Non necessariamente in contrapposizione agli Usa, sui quali, malgrado tutto, si spera di poter contare, ma come tentativo di dare faticosamente sostanza e contenuto all’obiettivo dell’autonomia strategica.

La prima sfida che chiama in causa l’Ue è quella della reazione ai dazi americani. Subito dopo l’annuncio di Trump, la Presidente della Commissione ha dichiarato che le misure minacciate erano sbagliate e dannose per l’economia mondiale. Pur mantenendo aperta l’opzione di una qualche forma di accordo per ridurre l’impatto dei dazi, ha confermato di essere pronta a rispondere con misure analoghe da adottare dopo una consultazione con i Paesi membri. Si apre ora una fase delicata in cui l’Ue dovrà decidere come reagire. Non è da escludere che, oltre ai più tradizionali (e poco efficaci) dazi sulle importazioni americane, possano essere prese in considerazione anche misure mirate a colpire gli interessi delle aziende tecnologiche sul mercato europeo, come limitazioni all’accesso e tassazione dei profitti.

Sulla difesa, gli europei si stanno movendo su due direttrici: un piano di medio-lungo termine di rafforzamento delle capacità militari degli Stati membri come premessa per una futura difesa europea e una serie di iniziative a sostegno dell’Ucraina. Sulla difesa europea, le proposte della Commissione hanno ricevuto un sostegno di principio, accompagnato da critiche, distinguo e condizioni, a conferma che resta molta strada da fare per avviare concretamente un percorso condiviso di rafforzamento delle capacità europee in materia di difesa. Sull’Ucraina, oltre alla conferma del sostegno politico e di nuovi aiuti anche militari (sia pure per un volume di spesa molto inferiore quanto proposto dalla Commissione), sono in discussione varie proposte per un contributo europeo ad un sistema credibile di garanzie di sicurezza all’Ucraina che dovrebbero costituire parte integrante di un auspicabile accordo sulla cessazione del conflitto.

Sono ancora piccoli passi nella direzione giusta di un recupero di protagonismo in un contesto particolarmente difficile per l’Europa. Sul piano degli annunci le intenzioni sono quindi buone. In concreto l’Ue dovrà fare i conti con le complessità dei suoi processi decisionali e con le difficoltà di far convergere scelte e sensibilità dei Governi nazionali. 

Presidente dell'Istituto Affari Internazionali. Diplomatico di carriera dal 1972 al 2013, è stato rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri.

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