L’esercito italiano e le aree addestrative: sfide e opportunità per il futuro

Monteromano ’88 è il nome dato a un’attività espositiva organizzata dall’esercito e dall’industria della difesa, che si svolse nell’omonima area addestrativa nell’estate del 1988. Quell’evento di 36 anni fa, in un’Europa ancora divisa dal muro di Berlino, segnò l’avvio dell’ultimo grande programma di ammodernamento dell’esercito italiano.

Oggi, siamo alla vigilia di un nuovo grande programma, spinto dalla straordinaria evoluzione tecnologica cui abbiamo assistito in questo secolo e dal ritorno, nel febbraio 2022, della guerra tra Stati europei. La capacità operativa dello strumento militare e il suo potere deterrente, però, non sono solo frutto della modernità degli equipaggiamenti, ma dell’insieme di questi con le dottrine, le capacità logistiche e la disponibilità di personale qualificato e addestrato.

Problemi e limitazioni delle aree addestrative in Italia

L’addestramento è stato il tallone di Achille dell’esercito italiano sin dalla sua nascita e i motivi risiedono principalmente nella carente disponibilità di risorse finanziarie e di aree addestrative idonee. Queste ultime presentano oggi forti criticità, proprio nel momento in cui bisogna rilanciare un addestramento complesso, pluriarma e multidimensionale.

In Italia, le principali aree addestrative dell’esercito sono tre: due permanenti (Teulada in Sardegna e Monteromano nel Lazio) e una occasionale (Torre di Nebbia in Puglia). Per le loro dimensioni, pure non particolarmente estese se confrontate con altri poligoni europei (Teulada ha una superficie di 74 km², contro i 232 km² di Grafenwoehr in Germania, ad esempio), sono le uniche che consentono di svolgere esercitazioni a fuoco di gruppo tattico con il supporto delle artiglierie. A queste si aggiungono poche altre aree dove è possibile addestrare a fuoco unità di livello compagnia, la più a Sud delle quali è sita in provincia di Salerno (Persano). A fattor comune, queste aree sono impiegabili tra i sei e gli otto mesi annui, dovendo osservare chiusure di natura biologica e turistica. Inoltre, l’impiego delle artiglierie è limitato a distanze massime di otto chilometri tra le aree di schieramento degli obici e la zona bersagli.

Emergono subito due elementi fortemente limitativi: primo, in Italia non ci sono aree addestrative che permettono l’addestramento a livello Brigata, dove sviluppare una manovra che coinvolga più gruppi tattici; secondo, senza considerare le gittate utilizzabili, già di per sé risibili (meno di 10 chilometri), non ci sono aree per addestrare le artiglierie alla manovra del fuoco, ovvero al cambio delle zone di schieramento e delle aree obiettivo, né per addestrare le unità di artiglieria a lunga gittata. Inoltre, considerando il numero di reggimenti di fanteria e cavalleria esistenti nell’esercito (circa 40) e le disponibilità temporali delle tre aree principali, non si va oltre le due settimane/anno ciascuno. Infine, è emblematico il caso delle unità dislocate in Sicilia che, anche solo per addestrarsi a livello compagnia, devono affrontare lunghi trasferimenti, di oltre 500 chilometri.

Sempre nel campo delle limitazioni, l‘incremento dei calibri e delle gittate delle armi dei mezzi da combattimento di prossima acquisizione ridurranno il numero delle aree minori utilizzabili e, come già avviene per le artiglierie nelle aree principali, porteranno a vincolare le direzioni di tiro, riducendo al minimo ogni possibilità di manovrare sul terreno.

La salvaguardia dell’ambiente

A tutto ciò, si aggiunge il tema della salvaguardia dell’ambiente, che dal febbraio 2022 è tutelato della Costituzione della Repubblica (art. 9, comma 3). L’assegnazione delle competenze ambientali alle Regioni complica la situazione e ha portato, nel tempo, alla sovrapposizione tra aree addestrative, preesistenti, e nuove zone di interesse comunitario per il mantenimento della biodiversità. Un caso su tutti: la chiusura per molti mesi, dovendosi definire i nuovi protocolli di utilizzo, del poligono addestrativo di Torre Veneri della Scuola di Cavalleria di Lecce, il luogo dove svolgono la formazione di base i carristi dell’esercito. Ovviamente, pesa anche l’obbligo di bonifica integrale dei residui delle attività esercitative, disposto con legge dal gennaio 2018, perché impone ulteriori limitazioni all’utilizzo delle aree addestrative, sia temporali che di superfici impiegabili come zone di arrivo colpi.

Tuttavia, anche la difesa dello Stato è garantita dalla Costituzione. Pertanto, la salvaguardia dell’ambiente e l’operatività dello strumento militare devono trovare un bilanciamento nel principio di ragionevolezza, dato che nessun diritto può avere supremazia su altri parimenti garantiti.

In generale, un aiuto sta venendo dal ricorso a sistemi di simulazione, ma si deve essere consapevoli che, per quanto capaci, non potranno mai sostituire l’addestramento sul campo, l’unico in grado di riprodurre realisticamente le effettive condizioni di impiego.

La necessità di nuove aree addestrative e l’importanza dell’addestramento realistico

È quindi necessario, quanto mai prima di oggi, trovare nuove aree addestrative, di dimensioni idonee almeno all’addestramento di un gruppo tattico (specie a sud dell’allineamento Persano – Torre di Nebbia).

Un incremento delle aree addestrative gioverebbe non solo all’addestramento dell’esercito, ma anche alla salvaguardia dell’ambiente. Infatti, più aree addestrative, anche di tipo occasionale (sul modello di Torre di Nebbia), consentirebbero un addestramento più aderente alle esigenze delle unità, in termini di vicinanza alle proprie sedi, di frequenza e di diversificazione. Contestualmente, ciò porterebbe a decongestionare le poche aree oggi utilizzate, con effetti sicuramente positivi sul loro ambiente. L’esercito ha provato a lavorare in questa direzione, ma si è scontrato con la logica del “non nel mio cortile.” Eppure le aree senza insediamenti umani o produttivi in Italia non mancherebbero.

Nelle aree addestrative nazionali ad oggi disponibili si può fare solo un minimo di addestramento di base. Per l’addestramento vero, quello sfidante, quello che mette alla prova uomini, mezzi, unità complesse e team di pianificatori operativi, bisogna andare all’estero. Questo comporta un’elevatissima spesa per la pianificazione, il trasferimento e il mantenimento di mezzi e personale impiegati, che ricade sul contribuente e impedisce quella continuità dell’addestramento che è sempre indispensabile per essere veramente preparati.

Per questo serve una vera presa di coscienza da parte degli italiani e di chi li rappresenta nelle istituzioni, che il disporre di Forze Armate preparate e capaci, sempre più importante anche ai fini della deterrenza, richiede un impegno responsabile da parte dell’intera collettività. Un sacrificio oggi è la premessa per non doverne affrontare altri, ben più pesanti, domani.

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