Nel contesto della competizione tra Stati Uniti e Cina, il Mar Cinese Meridionale (MCM) rappresenta un luogo di tensione e scontro secondo solo all’area marittima intorno all’isola di Taiwan.
Su questo specchio d’acqua transita circa il 60% del commercio marittimo globale e circa il 30% del traffico mondiale di petrolio, tra cui il 60% dell’import di petrolio e il 17% di gas diretto verso la Repubblica Popolare Cinese. Traffici che, per la conformazione geografica dell’area, sono necessariamente incanalati attraverso lo Stretto di Malacca, rendendo questo passaggio forse il più importante collo di bottiglia marittimo al mondo. Inoltre, l’area è fondamentale per l’approvvigionamento ittico degli Stati rivieraschi, approvvigionamento da cui dipendono molte delle comunità e delle economie locali.
La conformazione del MCM lo rende strategicamente fondamentale per la Cina. Da un lato, in quanto passaggio obbligato del proprio import ed export, dall’altro perché il suo controllo consente un’estensione della propria profondità strategica. Un maggiore controllo della regione permetterebbe di costituire una zona cuscinetto tra la costa cinese e l’Oceano Pacifico. Le pretese cinesi sul MCM non sono recenti. Infatti, sin dalla fine della Guerra Civile Cinese, sia la Repubblica Popolare Cinese (PRC), che la Repubblica di Cina hanno rivendicato questo spazio quasi per intero. Entrambi i governi, infatti, già dai primi anni 50 hanno pubblicato mappe della cosiddetta “Nine-Dash-Line” (Linea dei Nove Tratti – una linea ideale che ingloba circa 3/4 dello spazio marino) avanzando pretese di sovranità sia sullo specchio d’acqua che sui suoi arcipelaghi. In quest’ottica, la Cina ha occupato nel 1974 l’arcipelago delle isole Paracel (conteso con il Vietnam e Taiwan) e, nel 1988 le isole Spratly (contese con Taiwan, le Filippine, il Brunei e la Malesia), mentre le Isole Pratas sono tutt’ora occupate dal governo taiwanese. È solo nell’ultimo ventennio però, che la RPC ha aumentato la propria assertività in quest’area (anche in relazione allo sviluppo di una “blue-water navy”, capace di proiettare potenza ben oltre le proprie acque territoriali).
Zona grigia e tattiche sotto-soglia
Quest’assertività è caratterizzata dall’impiego di operazioni nella cosiddetta “zona grigia” e di tattiche sotto-soglia, che permettono di agire senza scatenare un conflitto aperto. Da un lato vengono svolte attività di lawfare – ovvero l’impiego del diritto internazionale per mettere in difficoltà un avversario e contestarne la legittimità o i diritti su un’area contesa–, operazioni di influenza psicologica (cognitive warfare) e mediatica, ed operazioni nello spettro cyber. Dall’altro lato, a un livello più apertamente conflittuale, vi è l’impiego della Guardia Costiera Cinese e della cosiddetta Milizia Marittima Cinese – una serie di forze paramilitari che agisce con l’impiego di imbarcazioni civili dotate di cannoni ad acqua e scafi rinforzati. Queste sono impiegate per occupare le porzioni di mare contestate e impedire il passaggio del naviglio avversario, conducendo operazioni d’interdizione attraverso l’uso di manovre pericolose, cannoni ad acqua e, in alcuni casi, speronando le navi che tentano di forzare i blocchi.
Tali azioni ricadono comunque in una più comprensiva concezione della guerra ibrida come guerra totale così come intesa dalla dottrina Cinese, ovvero una guerra che impiega tutte le forze del paese, comprese quelle civili, in un contesto non necessariamente percepito dall’avversario come bellico. Sono quindi da interpretare come complementari alle tradizionali operazioni di carattere militare – si pensi all’impiego dell’aeronautica (People’s Liberation Army Air Force, PLAAF) nel tentativo di interdire i pattugliamenti aerei statunitensi. L’occupazione degli arcipelaghi sopracitati, infatti, seppur a prima vista possa risultare funzionale all’estrazione di risorse (sia ittiche che minerarie), in realtà cela la costruzione di un’enorme architettura A2/AD (Anti-Acces/Area Denial) finalizzata al controllo dell’area marittima circostante e a impedire, o quantomeno scoraggiare, l’accesso al MCM da parte della Marina Statunitense e dei suoi potenziali alleati in caso di conflitto aperto. Una finalità che risulta chiara dalle immagini satellitari, che rivelano la presenza di impressionanti strutture militari, piste d’atterraggio dotate di hangar rinforzati per la protezione di velivoli, bunker costieri e complessi di difesa aerea.
Implicazioni
Tutto ciò ha permesso alla Cina di eludere la tradizionale logica dell’escalation. Data l’ambiguità di questo genere di azioni, infatti, gli avversari hanno grande difficoltà nel rispondere – anche perché questi non percepiscono necessariamente le singole attività come belliche o assertive. Infatti, in alcuni casi, queste non sono nemmeno riconducibili direttamente allo Stato (come nel caso delle operazioni di cognitive warfare e cyber, o delle azioni della Milizia Marittima le cui azioni spesso non sono neanche “pubblicizzate” in patria). In altri casi invece, tali attività non risultano essere abbastanza assertive da “meritare” una risposta militare diretta che rischierebbe di sfociare in un conflitto aperto (come nel caso dell’impiego della Guardia Costiera). Ciò ha un evidente vantaggio nei confronti di attori più deboli e/o di attori che agiscono all’interno di una cornice legale e dottrinale più rigida, e che hanno come interesse primario lo scongiuramento di un conflitto aperto che condurrebbe quasi sicuramente ad una disfatta. In tal senso, l’utilizzo di tattiche convenzionali – ad esempio il pattugliamento del MCM con assetti militari – soprattutto se effettuati da nazioni “esterne” all’area, può sortire un effetto limitato, se non contrario, con il rischio di innescare un’escalation. Contemporaneamente, una mancata o troppo limitata risposta – soprattutto da parte dei paesi rivieraschi interessati – può rischiare di mandare un messaggio di acquiescenza alle azioni cinesi. Una risposta funzionale impone quindi un necessario ripensamento della strategia e delle tattiche impiegate per far fonte a questo genere di operazioni. Un ripensamento che sia in grado di trascendere il puro aspetto militare e di apprendere anche dalle tattiche avversarie.
