La sfida dell’aumento della spesa militare italiana nel contesto Nato

Uno dei temi caldi nel dibattito sulle politiche della difesa nazionale è senza dubbio l’incremento della spesa militare, che gli alleati e la Nato chiedono con insistenza di portare al 2%.

Tale incremento, deciso nel Vertice Nato del Galles del 2014 e confermato da tutti i governi da allora succedutisi in Italia, nessuno escluso, ha assunto anche un forte significato operativo dal 24 febbraio 2022, giorno dell’aggressione russa all’Ucraina, e dalla conseguente approvazione del nuovo modello operativo dell’Alleanza Atlantica, il Nato New Force Model.

Il Nato New Force Model

Per le sole forze terrestri, tale modello prevede un forte incremento di unità corazzate da combattimento, di artiglierie missilistiche a lunga gittata, di difesa aerea e di guerra elettronica. Questi sono solo i settori principali, che nelle operazioni di supporto alla pace e di stabilizzazione degli ultimi vent’anni sono stati fortemente ridotti nei numeri e posti in fondo alla lista nei programmi di aggiornamento e di rinnovamento dei mezzi e dei sistemi d’arma.

A questi si affiancano i settori emergenti delle operazioni di influenza, cibernetiche, spaziali e con l’utilizzo di droni, che in Ucraina stanno mostrando solo una parte del loro immenso potenziale. Un potenziamento capacitivo di questa portata, specie considerando che si parte da poco più che zero, richiede importantissime risorse finanziarie.

I circa 12 miliardi all’anno che mancano al bilancio della difesa per raggiungere la fatidica soglia base del 2% assumono, quindi, un forte significato, non solo politico, ma soprattutto operativo: senza quelle risorse e senza le conseguenti nuove capacità operative, l’Italia non potrà contribuire al NATO New Force Model in maniera significativa, così come invece ha assicurato ad oggi alle operazioni di stabilizzazione della NATO (una partecipazione che è sempre stata portata dai governi italiani come segno dell’impegno nazionale anche a compensazione del mancato incremento del bilancio).

Personale, addestramento, rinnovamento: le sfide per l’Italia

In termini calcistici, l’Italia rischia di passare nella colonna di destra anche nella classifica dei contributori alle operazioni dell’Alleanza. L’annuncio del Presidente del Consiglio al Vertice NATO di Washington che l’Italia si avvierà su un percorso virtuoso già a partire dal bilancio 2025, portando la spesa militare all’1,6% del PIL (un incremento di alcuni miliardi di euro), è una straordinaria buona notizia. Si potrà obiettare che siamo lontani dai 100 miliardi messi in campo dalla Germania, ma considerando la situazione economica complessiva del Paese, tale impegno rappresenta moltissimo, anche perché segna un deciso cambio di marcia.

Ma ora bisognerà definire come impiegare queste risorse o, meglio, quali priorità soddisfare. Il bilancio della difesa è di massima ripartito in tre settori: spese per le retribuzioni del personale, spese per le operazioni, l’addestramento e la logistica, spese per l’aggiornamento e il rinnovamento dei mezzi e dei sistemi d’arma. I primi due settori, in termini di bilancio, attengono alla spesa corrente, il terzo alle spese in conto capitale.

A monte, bisogna sfatare un mito ben radicato, ossia che in Italia la spesa per le retribuzioni del personale è troppo alta. Il Documento Programmatico Pluriennale 2022, che riporta il bilancio cd. integrato (funzione difesa, fondi ex-MISE e spese ad hoc per le operazioni) ripartito tra i tre settori, vede una spesa per il personale intorno al 52%, cioè non lontana da quel 50% fissato quale obiettivo dalla relazione illustrativa della Legge n. 244 del 2012 di riforma e riorganizzazione delle Forze Armate.

Per contro, lo stesso documento programmatico indica le spese per operazioni, addestramento e logistica al 12%, cioè meno della metà di quel 25% indicato come necessario, sempre dalla Legge 244. In operazione si va con i mezzi e i soldati che si hanno al momento. Se i primi non funzionano e se i secondi non sono adeguatamente addestrati, non si comincia certo con il piede giusto. Non è un caso che tutti gli ultimi Capi di Stato Maggiore dell’Esercito abbiano messo l’addestramento in cima alle loro priorità.

Addestrarsi alle operazioni di combattimento pluriarma moderne costa molto, in termini di usura dei mezzi e consumi, e richiede molto tempo, con le relative indennità previste per il servizio fuori sede e continuativo. È quindi necessario che una parte importante dell’incremento annunciato vada a finanziare il settore delle operazioni, addestramento e logistica. Un equipaggio ben addestrato può infatti garantire prestazioni eccellenti anche con un mezzo non proprio allo stato dell’arte; viceversa, un mezzo modernissimo nulla può nelle mani sbagliate. Anche la guerra russo-ucraina ci racconta episodi di moderni mezzi occidentali abbandonati al primo intoppo per scarsa conoscenza tecnica da parte degli equipaggi o per banali carenze logistiche. L’addestramento e la logistica, quando ci si schiera a poche decine di chilometri da potenziali avversari (è il caso dei contingenti italiani nell’Europa orientale), devono essere la priorità, anche a dispetto dei contabili di Stato.

Ma c’è un altro settore che merita attenzione e risorse: quello del personale. Da tempo, la Marina Militare e l’Esercito, in particolare, lamentano gravi carenze di uomini, operativi e tecnici, per completare il personale delle unità e delle navi già in organico e per ‘armare’ nuove navi e nuovi battaglioni.

Anche qui c’è da sfatare un mito che si è radicato negli ultimi anni, ovvero che nell’Esercito ci sono troppi sottufficiali. Non è così; gli eserciti statunitense, inglese, francese e tedesco, per citare i principali, hanno un numero di sottufficiali percentualmente doppio rispetto a quello italiano. Nelle Forze Armate a elevata tecnologia – basta guardare alla Marina e all’Aeronautica -, i sottufficiali costituiscono la spina dorsale della struttura, esprimendo i tecnici e gli specialisti necessari per operare sistemi d’arma sempre più sofisticati. L’anomalia del sistema italiano, semmai, è la forte presenza di graduati in servizio permanente, la cui età media continua a crescere.

È necessario partire da subito con un ampliamento del personale perché arruolare, formare ed addestrare specialisti in difesa aerea, oppure in guerra elettronica, richiede tempi lunghi, non molto diversi dalla progettazione e produzione dei nuovi sistemi d’arma.

La risposta alla domanda iniziale è, di conseguenza, una crescita che riguardi tutti e tre i settori di spesa e non solo quello rivolto all’aggiornamento e al rinnovamento dei sistemi d’arma. Tale incremento deve conseguire e preservare il paradigma noto a chi si occupa di pianificazione degli strumenti militari: 50% delle risorse al personale e 25% ciascuno alle spese per operazioni, addestramento e logistica e per aggiornamento e rinnovamento di mezzi e sistemi d’arma. Spese ben bilanciate assicurano uno strumento operativo allo stesso tempo, adeguato, moderno ed efficace. In una parola: credibile. È quello che oggi serve all’Italia, alla NATO e alla causa di un mondo giusto e libero.

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