La Mauritania alla prova delle elezioni presidenziali

di Lorenzo Longhi

Il prossimo 29 giugno i cittadini della Mauritania saranno chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Il grande favorito è Mohamed Ould Ghazouani, ex-Capo di stato maggiore delle forze armate, che lo scorso 24 aprile ha confermato la sua candidatura per un secondo mandato.

Rompendo con una tradizione di colpi di stato e regimi militari, il Paese sta attraversando un periodo di progressiva, ancorché cauta, apertura politica. Un percorso per la costruzione di istituzioni pluralistiche e trasparenti che ha visto una tappa fondamentale nel 2019, con la prima transizione di potere pacifica della storia mauritana. Le prossime elezioni presidenziali rappresentano un importante banco di prova per testare la stabilità dello Stato e la tenuta delle sue procedure democratiche.

Come si vota

La Mauritania è una Repubblica di stampo semi-presidenziale, modello istituzionale ereditato dalla Francia, da cui ha ottenuto l’indipendenza nel 1960. Il presidente della Repubblica rappresenta quindi la massima autorità dello Stato. Detiene poteri esecutivi, è comandante delle forze armate e ha facoltà di sciogliere l’Assemblea nazionale e nominare il Primo ministro.

La Repubblica mauritana è detta inoltre “islamica”. La Costituzione del 1991, che introdusse il multipartitismo, dichiara infatti l’Islam religione di Stato e, oltre a sottolineare una corrispondenza di principi tra il testo costituzionale e il Corano, stabilisce che il presidente della Repubblica deve essere di fede musulmana.

Il presidente della Mauritania viene eletto per un mandato quinquennale a seguito di una votazione in due turni a suffragio universale diretto. Se nessuno dei candidati riesce a ottenere la maggioranza assoluta al primo turno, i due più votati si sfidano al ballottaggio. L’eventualità è prevista in questo caso per il 14 luglio.

Le presidenziali del 2019

Alle ultime presidenziali, nel 2019, non c’è stato bisogno di ricorrere al secondo turno. Capo di stato maggiore delle forze armate dal 2008 al 2018 e ministro della Difesa sotto l’ex-presidente Mohamed Ould Abdel Aziz, Ghazouani si è aggiudicato la vittoria con il 52% delle preferenze. Ad agevolare una transizione pacifica di potere ha contribuito probabilmente il suo curriculum. Oltre a essere stato uno degli uomini più in vista dell’esercito, era amico di vecchia data e designato successore dell’ex-presidente.

A sua volta, Abdel Aziz aveva preso il potere con un colpo di stato nel 2008, spodestando il governo democraticamente eletto di Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdallahi. Nel 2009 aveva fondato l’Unione per la Repubblica (Upr), partito con cui ha dominato per oltre un decennio il sistema politico mauritano.

Nel 2019, Abdel Aziz ha esaurito però il limite dei due mandati presidenziali imposto dall’articolo 28 della Costituzione. La leadership del partito di governo è passata quindi a Ghazouani, che nel 2008 aveva partecipato al colpo di stato ed era rimasto tra le grazie dell’ex-presidente. A seguito della fusione con alcune formazioni partitiche minori, nel 2022 l’Upr ha cambiato veste, prendendo il nome di Partito dell’equità: in arabo, El Insaf.

La riforma del sistema elettorale

In questi ultimi anni, il governo di Ghazouani ha saputo assicurare una certa stabilità al Paese di fronte alle sfide provenienti dal contesto regionale e internazionale. Inoltre, ha condotto una campagna contro la povertà dai risultati modesti ma apprezzabili e ha preso iniziative per coinvolgere le opposizioni in un percorso per il rinnovamento delle procedure elettorali.

Nel settembre 2022, dopo settimane di colloqui tra le opposizioni e il ministero degli Interni e della decentralizzazione, si è raggiunto un accordo per la riforma del sistema elettorale. È stato così introdotto il metodo proporzionale a turno unico per l’elezione delle cariche regionali e municipali. La composizione dell’unica camera del Parlamento, l’Assemblea nazionale – il Senato è stato abolito nel 2017 – viene invece decisa secondo un sistema per metà proporzionale e per metà maggioritario. Inoltre, è assegnata una quantità di seggi fissi a categorie come giovani, donne e cittadini all’estero.

Nelle intenzioni del governo, l’adozione di un sistema più marcatamente proporzionale dovrebbe garantire maggior rappresentanza alle minoranze etniche e agli interessi delle fasce rurali, periferiche e delle comunità diasporiche. D’altro canto, a seguito delle elezioni del maggio 2023, 5 partiti (su 25) sono stati sciolti per non aver raggiunto la soglia dell’1% in due tornate locali successive, così come previsto da un decreto governativo approvato da Abdel Aziz nel 2018. Nel 2019, erano stati 76 su 107.

Iniziative di apertura politica

Un altro segnale di apertura politica lo si ha avuto lo scorso settembre. El Insaf e due storici partiti di opposizione di orientamento socialdemocratico – il Raggruppamento delle forze democratiche e l’Unione delle forze del progresso – hanno concordato la stesura di una Carta di intesa nazionale fondata su diciotto principi di unità nazionale, politica e di indirizzo economico.

Si è trattata di una delle rare azioni intraprese dal governo mauritano per coinvolgere le opposizioni nella formulazione di politiche di indirizzo nazionale. Comunque non sono mancate le critiche da parte di chi si è trovato escluso dalle negoziazioni. Il gruppo parlamentare della coalizione Speranza Mauritania si è infatti lamentato della scarsa ambizione dell’iniziativa e di essere venuto a conoscenza del progetto della Carta solo a seguito della sua adozione.

Il Tawassoul

Alle elezioni parlamentari del maggio 2023, il primo partito dell’opposizione, anch’esso escluso dalle negoziazioni sulla Carta, si è confermato essere il Raggruppamento nazionale per la riforma e lo sviluppo, spesso abbreviato in arabo Tawassoul. Si tratta di una formazione del cosiddetto islam politico, favorevole a un’applicazione rigorosa del Corano nella vita civile e politica e affiliata internazionalmente alla Fratellanza musulmana.

Dopo aver boicottato le elezioni presidenziali del 2014 e aver sostenuto un candidato esterno nel 2019, quest’anno il partito ha deciso di presentare un proprio candidato, il suo segretario Hamadi Ould Sid’ El Moctar.  

Il candidato antischiavista

Nonostante il Tawassoul sia il primo partito d’opposizione in Parlamento, le aspettative maggiori sono riservate a Biram Dah Abeid. Attivista per i diritti umani, nel 2014 e nel 2019 si era già candidato come indipendente, senza un proprio partito alle spalle, ma forte del suo ruolo di presidente dell’Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista (Ira).

Dai primi anni Duemila, Biram si batte contro forme moderne di schiavismo, persistenti in un Paese che nel 1981 fu l’ultimo al mondo ad abolire la schiavitù. Biram denuncia la prosecuzione illegale della pratica, con il beneplacito della polizia, degli imam e delle autorità locali. Secondo il Global Slavery Index, il numero di persone afflitte da forme di schiavismo moderno – categoria che comprende lavoro forzato, matrimoni combinati, traffico di esseri umani, vendita e sfruttamento di bambini – si aggirerebbe intorno alle 149 mila.

All’ultima tornata presidenziale, durante la quale venne arrestato per aver incitato la folla “a prendere le armi contro il regime”, Biram è arrivato secondo, davanti al candidato sostenuto dal Tawassoul, con il 19% dei voti.

Speranza Mauritania

Tra gli altri candidati dell’opposizione, troviamo El Id Ould Mohameden M’Bareck, avvocato e deputato all’Assemblea nazionale, a capo della coalizione Speranza Mauritania. I punti chiave del suo programma elettorale vertono su tutela dello stato di diritto, promozione dell’uguaglianza sociale e impegno a contrastare schiavismo, corruzione endemica, povertà educativa e malgoverno.

Alle ultime elezioni parlamentari, un anno dopo la sua fondazione, Speranza Mauritania ha ottenuto appena il 3% dei voti, guadagnando sette seggi all’Assemblea Nazionale.

Un risultato già scritto?

Salvo grandi sorprese, l’esito di queste elezioni presidenziali dovrebbe ricalcare l’andamento delle legislative del maggio 2023, quando la coalizione di governo ha ottenuto 117 dei 176 seggi disponibili.

Ghazouani gode ancora di un notevole capitale politico derivante dalla lotta alla povertà, divenuta uno dei temi cardine della sua presidenza, e dalla stabilità che ha saputo assicurare al proprio Paese. Nel corso del suo mandato, ha dovuto fare i conti con serie sfide provenienti dall’ambiente internazionale: la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina, il terrorismo fondamentalista islamico nel Sahel e la deriva militare che ha coinvolto nella regione Mali, Burkina Faso, Guinea e Niger.

Se consideriamo inoltre che la maggioranza dei partiti mauritani manca delle risorse organizzative e finanziarie necessarie per condurre una campagna elettorale su scala nazionale, appare difficile un capovolgimento (pacifico) degli equilibri di potere.

La democrazia in Mauritania è un percorso in salita

Nonostante i progressi degli ultimi anni, l’apertura dello spazio politico rimane ostacolata dal persistere di diverse pratiche antidemocratiche. Il diritto di espressione e libera manifestazione del dissenso è messo in discussione dal trattamento riservato a giornalisti e attivisti mauritani. Per questi, criticare il partito di governo può costare l’arresto, la censura o la perdita del lavoro.

Persiste inoltre un problema di commistione tra potere esecutivo e giuridico. Le corti mauritane, tra cui il Consiglio costituzionale, rimangono largamente influenzabili dal governo in carica. La gestione della cosa pubblica è aggravata dalla corruzione dilagante, mentre le misure anticorruzione messe in atto da Ghazouani sono state percepite come una copertura per condurre attacchi politici ed estromettere oppositori e rivali, tra cui l’ex-presidente Abdel Aziz. Quest’ultimo ha provato a candidarsi dal carcere, in cui si trova per reati di corruzione dal dicembre 2023. Ma la sua candidatura è stata rigettata dal Consiglio costituzionale.

Le elezioni sono un banco di prova importante per la tenuta democratica di un Paese che recentemente ha compiuto passi sì significativi in direzione di una maggiore rappresentatività delle istituzioni, ma che ancora deve fare i conti con uno spazio politico ristretto. Uno spazio dove ancora giganteggia il partito di governo e mancano una tradizione di dialettica parlamentare, una piena adesione allo stato di diritto e, non ultimo, un adeguato bilanciamento dei poteri istituzionali.

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