Il White Paper per la difesa europea tra narrazione e concretezza

L’Ue ha storicamente faticato a trasformare i buoni propositi in azioni concrete nel campo della difesa. Buona parte dei Paesi membri sono generalmente d’accordo sull’importanza di un deterrente solido, credibile, e coadiuvato da una base tecnologica e industriale variegata e innovativa, ma è sempre stato difficile tracciare una strada chiara e condivisa da tutti a livello europeo.

La Bussola Strategica del 2022, uscita poco dopo la seconda invasione russa ai danni dell’Ucraina, ha rappresentato un passo avanti importante per l’Unione lungo il difficile e tortuoso percorso verso una maggiore capacità decisionale e operativa. Tuttavia il documento restava affetto da una buona dose di timidezza, spesso limitandone l’ambizione al minimo comun denominatore di accettabilità fra tutti i Paesi.

Il Joint White Paper for European Defence Readiness 2030, firmato dalla Commissione e dall’Alto Rappresentante e pubblicato il 19 marzo 2025, rappresenta – almeno sulla carta – una significativa evoluzione per il ruolo delle istituzioni Ue (Commissione in primis) nel processo di integrazione della difesa europea. Tre sono gli elementi innovativi rispetto a documenti passati: il linguaggio utilizzato in termini di riarmo e deterrenza, la presa di coscienza di quelli che sono gli ostacoli strutturali a questo processo, e soprattutto l’esplicitazione senza mezzi termini dei gap capacitivi a livello militare e industriale.

Una narrazione al passo con tempi difficili

Il documento cerca di mettere a sistema una raccolta di iniziative già esistenti e alcune di nuova concezione. In un certo senso, oltre agli aspetti più concreti del White Paper, si tratta del tentativo di creare una narrazione sul ruolo dell’Ue quanto a difesa che sia all’altezza della minaccia russa in un’epoca in cui le garanzie di sicurezza di Washington perdono solidità. La premessa si fonda infatti sulla consapevolezza che qualora Mosca dovesse raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina le ambizioni territoriali del Cremlino si allargheranno ulteriormente, arrivando a minacciare i Paesi Baltici sottomessi dall’Unione Sovietica fino al 1991 e dal 2004 parte dell’Unione

Pur dovendo specificare che i Paesi Membri avranno sempre l’esclusiva responsabilità sulle proprie forze armate per quel che riguarda le considerazioni dottrinali, operative e di requisiti, e in ultima istanza l’impiego in teatri di crisi o conflitti, il documento vuole consolidare il ruolo di supporto e coordinamento che le istituzioni Ue possono giocare per rafforzare la base industriale della difesa. Da notare come White Paper non si limiti alle questioni puramente industriali, ma guarda anche ai gap capacitivi più critici per le forze armate europee, seppur questo ruolo sia formalmente appannaggio della European Defence Agency (EDA) in quanto unico ente dell’Unione che rappresentanza direttamente i ministeri della difesa – ma che non è stata sostanzialmente coinvolta nella stesura del documento. Difficile dunque non chiedersi come sarà possibile in futuro armonizzare veramente il ruolo della Commissione con quello dell’EDA alla luce di un’evidente e crescente preponderanza della prima.

I punti concreti del White Paper UE

Oltre ai gap capacitivi esposti dal conflitto ucraino, a partire da un sistema integrato e multi-strato di difesa missilistica e artiglieria a lungo raggio fino alle tecnologie emergenti e dirompenti, il documento sottolinea la centralità degli investimenti per la military mobility – ovvero la capacità di spostare rapidamente truppe e assetti all’interno dell’Unione per rafforzare il fianco orientale in caso di escalation russa. Questo tema è ancora oggi al centro di un progetto della Permanent Structured Cooperation (PESCO), avviato diversi anni fa e spesso elevato a portabandiera informale del programma, che però ha sempre faticato ad avanzare in mancanza di fondi sostanziali e di volontà politica per metter mano rispettivamente a infrastrutture e regolamenti. Se, come promettono nel White Paper, la Commissione e l’Alto Rappresentante riuscissero davvero a smuovere questo processo essenziale per la prontezza delle forze europee rispetto alla minaccia russa, che operino in ambito NATO o in altro formato, la deterrenza europea e transatlantica ne uscirebbe significativamente rafforzata.

Il documento dà ovviamente grande spazio all’Ucraina e alla necessità di aumentare lo sforzo collettivo per sostenerne le capacità difensive. Tra le novità c’è la volontà di allargare i futuri sforzi nell’ambito della mobilità militare a Kyiv, ma anche di rafforzare l’accesso dell’Ucraina ai servizi e assetti spaziali dell’Ue – tema quanto mai attuale visto il clima di incertezza che caratterizza l’approccio della seconda amministrazione Trump verso lo stato ucraino. Significativo è anche l’esplicito slancio verso una graduale integrazione dell’industria ucraina nel mercato della difesa europeo, aprendo ad essa i finanziamenti dell’European Defence Industry Programme (EDIP).

Un’Italia più pragmatica

Da una prospettiva italiana, il White Paper sembra essere un passo obbligato anche se assolutamente non scontato per l’Ue verso una maggiore integrazione nel campo della difesa in un clima di crescente instabilità. Sarà essenziale non farsi spaventare da quello che può a tutti gli effetti essere un cambio di passo che rischia di lasciare indietro i Paesi e le industrie nazionali che non potranno o vorranno sfruttarne le opportunità – a partire dalla cooperazione con l’industria ucraina, ma anche per quel che riguarda la mobilità militare e soprattutto gli incentivi a cooperare con altri Paesi per riempire quei gap capacitivi ritenuti critici.

Se è vero che alcuni partner europei hanno indubbie ambizioni di leadership all’interno di un processo di integrazione quanto mai imprescindibile per la nostra sicurezza, è altrettanto vero che queste sono sostenute e giustificate da una forte spinta politica. Il dibattito pubblico italiano deve superare l’atavica difficoltà a capire che l’Italia non è condannata a seguire (e a volte subire) l’impeto altrui, ma ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo di leadership in Europa.

Non ci si può dunque permettere che iniziative come il piano ReArm Europe, annunciato poche settimane prima della pubblicazione del White Paper e largamente frainteso nel dibattito pubblico italiano, distragga ulteriormente dall’importanza di rendere l’Europa e l’Italia più capaci di difendersi da minacce esterne, sostenendo l’Ucraina e diminuendo la dipendenza dagli Stati Uniti.

Ricercatore nel programma “Difesa, sicurezza e spazio” dell’Istituto Affari Internazionali, dove si occupa di difesa e industria della difesa europee e di sicurezza marittima. In passato ha lavorato a Bruxelles presso l’International Crisis Group, il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e le Nazioni Unite.

Ultime pubblicazioni