Il Nuovo Patto Ue sulle migrazioni e l’asilo: una vera soluzione?

Il Nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo promette di ridurre la pressione su sistemi nazionali di asilo contorti e divergenti. In questo modo, la più ambiziosa riforma del Sistema Europeo Comune di Asilo degli ultimi decenni attenuerebbe – almeno sulla carta – anche le divisioni all’interno dell’Ue, che per anni hanno reso la migrazione uno dei temi più sensibili per i leader europei.

A un primo sguardo, la maggioranza dei governi e delle istituzioni dell’Ue sembra ritenere che il problema delle migrazioni sia stato realmente risolto tramite il Nuovo Patto. Tuttavia, le nuove regole entreranno in vigore solo nel 2026; nel frattempo, il tema rimane politicamente intrattabile. Basta guardare all’Italia: nel 2024, gli arrivi lungo la Rotta del Mediterraneo Centrale sono diminuiti notevolmente rispetto al 2022-23, tuttavia il governo di Giorgia Meloni sta scommettendo su misure ancora più restrittive sia a livello nazionale che Ue, come il Protocollo d’Intesa con l’Albania. Allo stesso modo, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, in una lettera ai leader Ue prima del Consiglio Europeo dello scorso ottobre, ha ricordato come gli arrivi stiano crescendo su altre rotte (in particolare quella del Mediterraneo Occidentale) e come l’accordo sul Nuovo Patto non debba portare l’Ue ad adagiarsi sugli allori.

Una priorità ineludibile

Le migrazioni rimarranno una priorità per la nuova Commissione Europea. L’esecutivo Ue sta già ricevendo pressioni da numerosi stati membri, anche tramite l’introduzione di misure unilaterali a livello nazionale. Quattordici paesi Ue hanno richiesto un “cambio di paradigma” per effettuare più rimpatri. Il tentativo dell’Italia di applicare il contestato accordo con l’Albania, così come la reintroduzione dei controlli Schengen da parte della Germania e la proposta della Polonia di sospendere temporaneamente il diritto d’asilo sul proprio territorio, sono tutti segnali di un trend generalizzato verso risposte sempre più restrittive alla minaccia che i paesi europei percepiscono nei fenomeni migratori.

La Commissione considera il Nuovo Patto, approvato dopo anni di negoziati durante il precedente ciclo istituzionale, come la prima linea di difesa rispetto a questa urgenza. In passato ogni compromesso in questo campo è stato reso quasi impossibile a causa delle consolidate divergenze fra gli interessi degli stati membri. I paesi Ue possono essere raggruppati in tre categorie: paesi di primo ingresso, specialmente sul Mar Mediterraneo, che ricevono la maggior parte degli arrivi via mare (i Med-5); stati membri preoccupati dai movimenti secondari (Paesi Bassi, Austria) e che ricevono un alto numero di richieste di asilo (Germania, Francia); e quelli contrari a ogni forma di solidarietà (generalmente i paesi dell’Europa Orientale). Questi gruppi non sono però immutabili e possono convergere su alcune questioni aperte: ad esempio, Italia e Spagna sono paesi di primo ingresso, ma figurano anche fra gli Stati membri che ricevono più richieste d’asilo. Questi allineamenti nel Consiglio non sono cambiati dopo l’approvazione del Patto.

Un compromesso ancora sbilanciato

Alla luce di questo quadro, il Nuovo Patto regola differenti componenti delle politiche Ue, dall’armonizzazione dei controlli alle frontiere e degli standard dell’accoglienza, alle misure di emergenza nel caso di strumentalizzazione dei movimenti migratori da parte di paesi terzi. Il pacchetto di norme è politicamente fondato su un compromesso sbilanciato fra responsabilità e solidarietà. L’introduzione obbligatoria delle procedure di frontiera e l’estensione delle responsabilità in capo ai paesi di primo ingresso nell’ambito dell’ex sistema di Dublino sono state infatti solo parzialmente bilanciate da un nuovo principio di “solidarietà obbligatoria” che concede ancora una certa flessibilità agli Stati membri sulla scelta degli strumenti con cui contribuire. Il Nuovo Patto in generale risponde alla necessità di rassicurare molti paesi Ue sul fatto che i movimenti secondari saranno limitati e che i sistemi di asilo diventeranno più selettivi, con implicazioni pericolose per l’accesso alla protezione internazionale. Paesi come l’Italia hanno infatti abbandonato le proprie consolidate richieste in materia di ricollocamenti obbligatori in cambio di un approccio più rilassato sui diritti fondamentali, in particolare per quanto riguarda i trattenimenti nell’ambito delle procedure di frontiera. 

L’intenzione di rassicurare Stati membri come Francia, Germania e Paesi Bassi sui movimenti secondari è confermata anche dal Piano Comune per l’Implementazione del Patto su Migrazione e Asilo redatto dalla Commissione, che richiede l’utilizzo del sistema informatico EURODAC “per monitorare i movimenti secondari” raccogliendo i dati personali dei migranti in arrivo o azioni nelle procedure di frontiera per limitare “movimenti non autorizzati”. Il Piano Comune rappresenta la prima occasione per analizzare i passi concreti previsti dal Nuovo Patto alla luce degli interessi degli stati membri nel Consiglio. Il Piano reitera che le autorità nazionali non potranno scegliere quali pacchetti legislativi applicare fra quelli che compongono il Nuovo Patto, a partire dalla redazione dei Piani Nazionali che vanno consegnati entro dicembre.

In effetti, l’aver ricompreso l’intero sistema delle regole Ue all’interno di un’unica cornice normativa costituisce il principale merito della riforma. Questo dovrebbe parzialmente rassicurare paesi come l’Italia, le cui nuove responsabilità obbligatorie dovranno essere bilanciate da un’implementazione effettiva delle misure di solidarietà per minimizzare l’imprevedibilità delle scelte degli altri Stati membri. Tuttavia, è molto probabile che ci saranno dei ritardi, con gli Stati membri che attenderanno di comprendere lo sviluppo delle diverse norme e la Commissione che li incoraggerà ad agire in primo luogo in quelle aree in cui dispongono di un’infrastruttura adeguata (ad esempio, le procedure di frontiera in Italia e Grecia).

Raddoppiare gli sforzi sulla dimensione esterna

La Commissione dovrà agire su due fronti: l’implementazione del Nuovo Patto sarà accompagnata da un focus ancora più forte sulla dimensione esterna. Il primo aspetto dipende infatti almeno in parte dal secondo, se si vorranno raggiungere risultati in termini di riduzione degli arrivi irregolari. La rinnovata priorità sulla dimensione esterna si riflette anche nella nuova configurazione della Commissione. Il tema migratorio è trasversale al portafoglio di alcuni Commissari, come quello sul Mediterraneo e quello per le Partnership Internazionali, che hanno il compito di approfondire la proiezione esterna della Commissione. Tuttavia, i dossier internazionali dovranno comunque rispondere al Commissario per le Migrazioni e gli Affari Interni.

L’Ue è stata particolarmente coerente nel corso degli ultimi due anni, firmando diversi accordi con paesi terzi nell’area del Mediterraneo allargato: le intese con Tunisia, Egitto, Libano e Mauritania si sono aggiunte alla cooperazione storica con la Turchia e le autorità libiche, rafforzando il tentativo dell’Ue di esternalizzare i controlli sui movimenti migratori. L’accordo italiano con l’Albania è ispirato dallo stesso principio, ma l’aderenza al diritto europeo delle procedure di confine che dovrebbero svolgersi nei centri albanesi e altre strutture simili in Italia è già stata messa in dubbio da alcune pronunce giudiziarie. Ad ogni modo, l’ambizione europea è ora di rilanciare su questo fronte, introducendo degli “hub per i rimpatri”.

La proposta ricorda passate iniziative per delegare a paesi terzi la responsabilità su alcune componenti delle procedure di asilo e rimpatrio. Tuttavia, l’idea di esternalizzare le operazioni di rimpatrio deve affrontare la medesima sfida della proposta di piattaforme di sbarco per gestire le richieste d’asilo fuori dal territorio Ue naufragata alcuni anni fa: ottenere la cooperazione dei paesi terzi. L’Italia si è guadagnata la collaborazione dell’Albania perché l’accordo non trasferisce la giurisdizione sull’asilo e i rimpatri alle autorità albanesi. Gli hub per i rimpatri prevederebbero invece misure ben più intrusive dal punto di vista politico e legale. L’Ue si è detta pronta a utilizzare tutti gli strumenti a propria disposizione, dai visti al commercio e la cooperazione allo sviluppo, per incentivare la cooperazione dei paesi terzi, ma il rischio, anche in caso di successo, rimarrebbe quello di dipendere dalla volontà politica di governi esterni. Inoltre, non è affatto sicuro che gli hub per i rimpatri produrrebbero automaticamente un aumento nel numero dei rimpatri, dato che il sistema è comunque ostacolato anche da rallentamenti all’interno dell’Ue.

Le sfide per il futuro

Il Nuovo Patto è tutto tranne che perfetto. Lo sbilanciamento fra solidarietà e responsabilità potrebbe metterne a rischio l’applicazione privilegiando le necessità di alcuni Stati membri (quelli preoccupati dai movimenti secondari) rispetto a quelle di altri (i paesi di primo ingresso). Questa è la ragione per cui le istituzioni Ue hanno implicitamente presentato il Nuovo Patto – e gli accordi con i paesi terzi che dovrebbero completarlo – come una fonte di deterrenza per ridurre gli arrivi irregolari e soddisfare gli Stati membri mediterranei. Certamente, un’ulteriore revisione sarebbe doverosa, ma il lancio di un nuovo processo di riforma dopo un decennio di accesi negoziati non è politicamente fattibile. L’Ue dovrà ottenere il meglio dall’attuale sistema di normative.

Un’altra sfida per l’Ue emergerà dal probabile malcontento degli Stati membri nel momento in cui il numero di movimenti attraverso il Mediterraneo e quello dei rimpatri non cambieranno secondo le loro aspettative. Se il successo degli accordi con i paesi terzi non è completamente sotto il controllo delle autorità europee, il rispetto del Nuovo Patto rimarrà fondamentale per favorire la fiducia nel nuovo sistema. In altre parole, l’investimento nella dimensione esterna non può ridimensionare l’impegno nell’implementazione del Nuovo Patto.

In primo luogo, la Commissione dovrà rafforzare la fiducia fra gli Stati membri, assicurandosi che, nonostante i limiti in termini di standard più bassi nell’accoglienza, tutti i pacchetti legislativi del Nuovo Patto vengano applicati in modo coerente, così da evitare l’emergere di vincitori e vinti fra le capitali europee. Le richieste di opt-out dovrebbero essere contrastate e gli attuali disequilibri dovrebbero essere compensati da un’attenta applicazione delle misure di solidarietà. Paesi come l’Italia devono rimanere a bordo della riforma.

Inoltre, la Commissione – e i governi nazionali – dovranno alimentare la fiducia dell’opinione pubblica nel nuovo sistema comunicando realisticamente i risultati che ci si attende di ottenere e gestendo le aspettative riguardo gli effetti degli accordi complementari con i paesi terzi. Fino ad oggi la Commissione ha tentato di de-politicizzare la discussione concentrandosi sugli aspetti più tecnici delle riforme, ma si tratta di una scommessa dall’esito incerto, dato che gli Stati membri premeranno per ottenere risultati più visibili quanto prima. Le migrazioni rimarranno un tema spinoso nei prossimi cinque anni, come dimostra anche l’ascesa di molti partiti anti-immigrazione in varie tornate elettorali del 2024, ma una gestione equilibrata delle aspettative rimane il miglior modo per ottenere almeno qualche risultato positivo dalla riforma e tentare di attenuare l’estremismo politico in Europa.

Responsabile di ricerca nel programma UE, Politiche e Istituzioni dell’Istituto Affari Internazionali. Si occupa di politiche migratorie dell’Unione europea, driver migratori, ruolo delle migrazioni nella politica estera europea ed italiana, e narrative sulle migrazioni. È anche responsabile delle relazioni con gli stakeholder pubblici e privati dello IAI a Torino.

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