Il nucleare francese per la difesa europea

Nel suo discorso ai concittadini il 5 marzo, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l’apertura di un “dialogo strategico sulla protezione dei nostri alleati del continente europeo attraverso la nostra dissuasione”. Non è la prima volta: già negli anni Novanta del secolo scorso il presidente di allora, François Mitterrand, fece allusioni alla ‘vocation européenne’ della dissuasione basata sull’arsenale nucleare francese. Lo stesso Macron propose, già nel febbraio del 2020, l’apertura di un dialogo su questo tema. L’iniziativa non ebbe allora grande successo, essenzialmente perché gli alleati europei ritennero sufficienti le garanzie di sicurezza fornite dagli Usa all’Europa tramite la Nato, insieme alle ripetute rassicurazioni dei comunicati della Nato che le forze nucleari inglesi e francesi ‘hanno un ruolo dissuasivo a sé stante e contribuiscono significativamente alla sicurezza complessiva dell’Alleanza’ (Concetto Strategico 2022, paragrafo 29).

Questa volta però le reazioni di molti paesi alleati europei all’iniziativa francese saranno probabilmente diverse. Motivo: l’amministrazione Trump, escludendo il dispiegamento di proprie forze in Ucraina nel caso di una tregua, e negando garanzie di sicurezza a Kiev, alimenta i timori dei paesi alleati europei che l’impegno di Washington alla difesa collettiva sia meno solido del passato. La stessa distinzione classica fra chi è membro della Nato, e perciò protetto dall’articolo 5 del Trattato di Washington, e chi non lo è, perché paese di partenariato, ha mostrato i suoi limiti.

A ben vedere, la credibilità della dissuasione nucleare estesa dagli Stati Uniti agli alleati della Nato è da decenni oggetto di discussioni, dubbi e paranoie – perlomeno dall’ottobre del 1957, da quando il lancio sovietico dello Sputnik nello spazio segnalò che Mosca avrebbe presto disposto di missili balistici intercontinentali in grado di colpire gli Stati Uniti in risposta ad un eventuale uso di armi nucleari in Europa. Solo due mesi dopo, in un vertice a Parigi Washington volle segnalare agli alleati europei la serietà delle proprie garanzie di sicurezza e si decise quindi di istituzionalizzare il nuclear sharing (condivisione nucleare) in ambito Nato: gli Stati Uniti avrebbero dispiegato armi nucleari sul territorio degli alleati europei disposti ad accettare alcune responsabilità nella loro gestione e uso.

Il nuclear sharing venne introdotto per coinvolgere maggiormente e nello stesso tempo rassicurare gli alleati europei, ma non bastò mai a rassicurarli del tutto. Gli europei temevano che, ricorrendo all’uso tattico di armi nucleari in territorio europeo, gli Stati Uniti potessero essere tentati di evitare un conflitto nucleare strategico con Mosca. Questi timori emersero ripetutamente negli anni successivi al vertice di Parigi e soprattutto negli anni Sessanta, Settanta e primi Ottanta. Come disse una volta Dennis Healey, ministro della difesa britannico dal 1964 al 1970, “per dissuadere i russi basta che la rappresaglia americana sia credibile al 5%, ma per rassicurare gli europei deve essere credibile al 95%”. Anche la creazione nel 1966 di un gruppo di consultazione permanente in ambito Nato (Nuclear Planning Group, Npg), tuttora attivo ma senza la partecipazione della Francia, non eliminò mai del tutto i timori e le paranoie europee che Washington non fosse disposta a rischiare gli effetti catastrofici di uno scambio nucleare strategico con Mosca per difendere Berlino oppure Roma.

L’esperienza pluridecennale della Nato è utile per capire meglio potenzialità e limiti della nuova proposta francese. Si può discutere di armi nucleari (dei loro numeri, del loro posizionamento, della loro sicurezza e protezione), della loro utilità operativa (ad esempio sviluppando dottrine e politiche comuni) e del loro comando e controllo. Si possono anche sviluppare meccanismi di consultazione politico-militare in caso di crisi o conflitti e organizzare formazioni ed esercitazioni comuni, compresi seminari politico-militari. È inoltre anche possibile discutere di costi e della loro condivisione (burden sharing). Il controllo degli armamenti e la non-proliferazione sono ulteriori aspetti importanti sui quali uno scambio di informazioni, consultazioni ed un eventuale coordinamento è possibile. Alcune di queste tematiche vengono discusse nell’ambito del già menzionato Npg senza la Francia, ma molte altre vedono la Francia al tavolo.

Nel suo discorso Macron ha aggiunto che “qualsiasi cosa accada, la decisione è sempre stata e resterà nelle mani del Presidente della Repubblica”. In realtà, il fatto che la decisione finale sull’eventuale ricorso all’arma nucleare rimanga in mano francese non è di per sé un ostacolo al dialogo: dagli anni 40 ad oggi anche gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto il comando e controllo nazionale su tutte le loro armi nucleari. Un pilota europeo non avrebbe mai potuto sganciare una bomba B-61 da un aereo a doppia capacità ospitato nel suo territorio senza il beneplacito degli Usa.

Come detto sopra, i paesi alleati non-nucleari hanno ripetutamente espresso il timore che gli Stati Uniti potessero contemplare una guerra nucleare limitata all’Europa evitando così di rischiare Washington per difendere Berlino oppure Roma. Questo timore potrebbe valere anche in un contesto puramente europeo, ma ha minore rilevanza per una semplice ragione: la geografia. L’Oceano Atlantico separa l’Europa dagli Stati Uniti con circa 6.000 e più chilometri, mentre Parigi e Londra distano da 300 a 1.500 chilometri dalla maggior parte delle capitali europee; è perciò più difficile immaginare una guerra nucleare limitata ad un paese europeo senza un grave impatto anche sulla Francia o l’Inghilterra. Va aggiunto che, a lungo termine, un’ulteriore integrazione politica ed economica fra almeno alcuni paesi europei renderebbe più credibile una dissuasione nucleare estesa.

Quali implicazioni per l’Italia? Diciamolo senza mezzi termini: con l’amministrazione Trump è molto improbabile che Washington venga in soccorso degli europei in caso di conflitto armato con la Russia. Il de-coupling transatlantico non è mai stato così acuto e la credibilità della dissuasione nucleare estesa è in questo momento ai minimi storici. Non si tratta di gettare il bebè con l’acqua sporca; bisogna salvare il salvabile e accettare anche l’offerta di un dialogo più approfondito con la Francia su queste tematiche e magari anche con il Regno Unito. Intanto la Germania, con il prossimo cancelliere Friedrich Merz ha già iniziato a muoversi in questa direzione. Sarebbe meglio se anche noi ci dessimo da fare.

Roberto Zadra, già ricercatore Iai, è un ex funzionario della Nato

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