Elezioni in UK: una nuova fase per i rapporti con l’Ue

Il 4 luglio prossimo, a poche settimane dalle elezioni per il Parlamento europeo, l’Europa conoscerà un’altra elezione in un certo senso altrettanto importante. Rishi Sunak, Primo Ministro britannico, ha infatti smentito le aspettative e anticipato a luglio le elezioni che quasi tutti prevedevano in autunno.

Sono elezioni che, salvo novità clamorose, Sunak è destinato a perdere. La sua decisione ricorda quindi la celebre battuta di un suo predecessore che, in un contesto diverso parlò di “tacchini che votano per anticipare il Natale”. La scelta è probabilmente dovuta alla consapevolezza che i danni provocati dagli ultimi anni di governo di Cameron, May, Johnson e Trusssiano sono ormai irrecuperabili e dalla volontà di evitare di essere vittima ancora per lunghi mesi della guerra civile in atto nel partito Conservatore.

Un possibile governo laburista guidato da Keir Starmer

Se le cose procedono secondo le unanimi previsioni, avremo quindi a luglio un governo laburista guidato da Keir Starmer; un personaggio di sicura competenza che ha fatto della moderazione e della rassicurante mancanza di carisma una specie di manifesto ideologico. L’uomo però non manca di coraggio e determinazione. In pochi mesi ha infatti raddrizzato radicalmente la rotta di un partito che sembrava irrimediabilmente sbandato a sinistra, ciò che gli era costato la più cocente sconfitta dell’ultimo secolo.

Starmer ha anche ripulito il partito da diffuse infiltrazioni antisemite e mantenuto con fermezza una posizione di grande equilibrio nell’attuale crisi di Gaza, anche a costo di rischiare la perdita dei voti degli elettori mussulmani in alcuni collegi importanti. Tutto ciò ci conduce a pensare che l’elezione di Starmer non avrà solo un impatto importante in Gran Bretagna, ma in tutta Europa. In primo luogo avremmo in uno dei grandi paesi europei la vittoria di una sinistra che si batte per vincere e non solo per testimoniare. Un insegnamento che potrebbe scuotere le acque in paesi come l’Italia e la Francia.

Una nuova fase per i i rapporti UK-Ue

Soprattutto, è possibile che si apra una fase nuova nei rapporti fra la Gran Bretagna e l’Ue; rapporti che hanno già mostrato segni di miglioramento con il governo di Sunak. Ciò non vuol dire che Brexit potrebbe essere rimesso in discussione. Starmer è troppo accorto per riaprire questa piaga. È invece possibile che si aprano possibilità di collaborazione che possono essere nella difficile fase attuale di grande interesse anche per l’Ue. Si tratta di piste da esplorare con grande pragmatismo, ma che possono essere molto importanti. Perché, non dimentichiamolo, Brexit è una ferita che ha avuto costi elevati anche per l’Europa e non solo per la Gran Bretagna.

I settori che sembrano prioritari sono tre. Il primo è quello della tecnologia e della possibilità di ritornare a contare sull’eccellenza del sistema accademico britannico. Il secondo è quello della finanza. L’Ue vuole mettere al centro dei suoi programmi l’unificazione del mercato dei capitali, condizione per poter canalizzare le ingenti risorse finanziarie prodotte dalla sua economia verso gli investimenti necessari alla transizione climatica, al recupero del gap tecnologico al rafforzamento della difesa comune. Un mercato finanziario dinamico non può però dispiegare tutte le sue potenzialità se non dispone di una piazza finanziaria all’altezza del compito. Uno degli effetti dannosi di Brexit è stato proprio di privare l’Ue di una delle più importanti piazze finanziarie internazionali, quella di Londra. Ora, se Brexit ha sicuramente danneggiato Londra e condotto al trasferimento di alcune attività a Parigi, Francoforte e Amsterdam, del suo indebolimento ha soprattutto approfittato New York. Una piazza finanziaria non è solo un insieme di attività. È anche un ecosistema che ha bisogna di molto tempo per consolidare competenze e una cultura comune. Almeno per il momento, nessuna delle piazze sul continente europeo può avere l’ambizione di sostituire Londra; soprattutto se, come per esempio a Parigi, la cultura dominante è quella di considerare la ricchezza finanziaria quasi un crimine. Le difficoltà regolatorie e di altra natura sono notevoli, ma con un po’ di pragmatismo e immaginazione dovrebbe essere possibile riannodare alcuni fili che Brexit ha spezzato.

Il terzo settore, quello della difesa, è il più importante e anche il più urgente. La Gran Bretagna è con la Francia l’altra grande potenza atomica e militare del continente. L’idea di un pilastro europeo all’interno della Nato si scontra già con difficoltà incontestabili. Senza l’apporto britannico, rischia di essere del tutto velleitario. Del resto, lo stesso Macron ha citato l’opportunità di collaborare con Londra in questo settore nel suo discorso alla Sorbona. Infine, la collaborazione militare della Gran Bretagna in seno alla Nato con tutto l’arco dell’Europa nord orientale, dall’Olanda, alla Scandinavia, alla Polonia è già molto sviluppato. La guerra in Ucraina ha enormemente rafforzato gli interessi comuni.

Tutto ciò richiederà un cambio di passo non solo da parte di Londra, ma anche dell’Ue. Nei lunghi negoziati che hanno seguito Brexit, le istituzioni europee e soprattutto la Commissione hanno sfruttato con grande abilità la trappola in cui si sono cacciati i governi britannici: “Brexit means Brexit”. Ciò ha permesso all’Ue di opporre intransigenza a intransigenza; un confronto da cui il più forte doveva necessariamente uscire vincente. E così è stato. Non solo, giocando sull’intransigenza nella difesa dei principi, l’Ue si è posta come difensore di tutti i suoi membri. Ha così dimostrato incontestabilmente il danno che Brexit provocava al Regno Unito, ma ha anche distrutto ogni residua velleità di “exit” in atri paesi. Durante i negoziati i più strenui difensori dell’ortodossia sono stati proprio i governi di alcuni paesi tradizionalmente aperti alle tesi britanniche.

Potremmo ora entrare in una fase in cui può essere invece consigliabile una dose maggiore di pragmatismo. Un diverso atteggiamento culturale che richiederà evidentemente un’analisi attenta dei problemi e delle condizioni. Tuttavia, nel mondo turbolento e pericoloso in cui siamo immersi, i vantaggi per l’Europa tutta potrebbero essere notevoli.

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