La solitudine di Bruxelles

L’Europa è sola e, d’ora in poi, è l’unica responsabile della propria sicurezza. Gli Stati Uniti si occuperanno solo ed esclusivamente di proteggere i propri interessi, anche a scapito di quelli alleati. Potremmo riassumere così il turbinio di dichiarazioni, invero a volte confuse e ambigue, arrivate dalla nuova amministrazione americana nelle ultime due settimane e culminate con l’incontro-scontro drammatico consumatosi nell’Ufficio Ovale tra Trump e Zelensky. Un evento che segna per l’Europa il tempo della presa di coscienza di un cambio di paradigma internazionale e – si spera – anche il tempo dell’azione.

Una reazione c’è già stata, seppur parziale. Dapprima da parte della presidente della Commissione europea von der Leyen, che a Monaco ha proposto uno scostamento di bilancio per finanziare le spese della difesa; poi dalle capitali, con la convocazione dei summit di emergenza da parte di Macron e di Starmer, che hanno anche lanciato un’iniziativa politica per scongiurare l’esclusione dell’Europa dai tavoli negoziali e un ritiro del supporto statunitense all’Ucraina. Ma l’unità europea è ancora da costruire, poiché non mancano prese di posizioni più caute o addirittura contrarie.

Troppo poco, però, se consideriamo che in questo momento noi europei siamo esposti a una minaccia diretta da parte della Russia, che di certo è indebolita ma che sta chiaramente cercando di ricostruire le capacità perdute con la guerra all’Ucraina: nel 2025 la spesa militare russa aumenterà di un ulteriore 14%, arrivando al 7,5% del PIL e superando quella dell’intera Europa (Gran Bretagna inclusa). Non è dunque momento delle esitazioni o dei distinguo che sono la cifra distintiva della politica europea e della sua diplomazia. In gioco c’è la sopravvivenza del progetto democratico europeo e dell’ordine globale così come li abbiamo costruiti, insieme all’alleato americano, negli ultimi 80 anni. Ed è ormai chiaro che, se vogliamo avere la minima chance di incidere sul secondo, dobbiamo proteggere e rilanciare il primo.

In primo luogo, l’Europa (Unione europea e Gran Bretagna insieme) dovrà fornire adeguate garanzie di sicurezza all’Ucraina. Gli Stati Uniti non saranno più un partner sufficientemente affidabile e/o interessato a difenderla. Senza un reale e concreto sostegno europeo l’Ucraina sarà nuovamente attaccata e fagocitata dalla Russia, che poi probabilmente sposterà anche lo sguardo verso qualcun altro (i Baltici? la Moldavia?). Questo a meno che noi non saremo in grado di difenderla, prendendo da subito un impegno militare serio che consisterà nel farci carico del grosso degli aiuti militari nell’immediato, per mettere l’Ucraina nella posizione più vantaggiosa nel corso dei negoziati, ma anche nel medio-lungo termine, per scoraggiare o fronteggiare nuovi attacchi. Significa anche che dovremo forse essere pronti a inviare truppe sul terreno, con o senza gli Stati Uniti.

L’altro aspetto ineludibile è che dobbiamo essere pronti a proteggere i nostri cittadini e le nostre democrazie, e per farlo non possiamo crogiolarci nell’idea che sia sufficiente l’attuale impegno di risorse nella difesa. La proposta di von der Leyen, se accolta dai Paesi più recalcitranti come la Germania, è un primo passo nella giusta direzione. Bene anche l’attivazione del sistema della Banca Europea degli Investimenti, che fino ad ora aveva sempre respinto l’idea di finanziare spese nel settore della difesa. Ma non basta. Dovremo individuare le capacità che sono necessarie a livello europeo per diventare un attore di difesa credibile e autonomo, e mobilitare le risorse che serviranno per costituirle: si tratterà di investimenti cospicui, per i quali servirà rompere alcuni taboo pensando a strumenti di debito comune come gli Eurobond della difesa o addirittura al finanziamento delle spese militari attraverso il bilancio dell’Unione. Un segnale nella giusta direzione potrebbe venire dal Consiglio europeo convocato per questa settimana.

Ma tutto questo non sarà realizzabile senza un’iniziativa politica forte. All’Europa serve leadership e la volontà politica di andare avanti, anche con gruppi ristretti di Stati membri. Occorre che un gruppo di Paesi membri sia disposto a porsi alla testa di una vera “Europa della difesa”, assumendosi le responsabilità maggiori per il sostegno dell’Ucraina e per la difesa del continente, e sostenendo l’Alto Rappresentante Kallas nella costruzione di un’Unione politica della difesa che accompagni l’azione della Commissione sul fronte industriale. Per farlo, occorrerà però che Macron abbracci una prospettiva genuinamente europea, abbandonando una ricerca velleitaria di egemonia continentale; che il prossimo governo tedesco abbandoni i tentennamenti recenti, mostrando finalmente di possedere una visone strategica di ampio respiro; e, per guardare in casa nostra, che l’Italia di Meloni sia disposta a lavorare per mantenere l’unità europea, anche di fronte alle lusinghe e alle pressioni statunitensi tese a strumentalizzare Roma come un grimaldello per spaccare l’Ue. Prospettiva, questa, che si rivelerebbe esiziale per la prospettiva di un continente libero e prospero e che condannerebbe tutti, Italia compresa, ad un continuo ricatto da parte dell’America MAGA.

Responsabile del programma Ue, politica e istituzionie responsabile delle relazioni istituzionali dell’Istituto Affari Internazionali. Si occupa di governance dell’Unione europea, aspetti politici e istituzionali della Pesc/Psdc, gestione civile delle crisi, rapporti tra Ue e Nazioni Unite e relazioni Ue-Africa.

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