Le recenti elezioni politiche tedesche hanno restituito un esito elettorale in linea con i sondaggi pre-voto, attribuendo la maggioranza relativa dei seggi alla CDU e ponendo in evidenza alcuni temi meritevoli di particolare attenzione. Fra questi, indubbiamente, spicca la notevole quantità di consensi raccolta da Alternative für Deutschland (AfD), partito di estrema destra, euro-scettico e filo-russo, che ha superato il 20% dei suffragi, divenendo la prima formazione politica nell’ex Germania Est. Allo stesso modo, le urne hanno certificato la scarsa popolarità dell’esecutivo uscente, il cosiddetto “governo semaforo”: i socialdemocratici hanno registrato il peggior risultato dal 1887, i Grünen hanno perso circa un milione di voti, mentre i liberali sono addirittura crollati sotto la soglia di sbarramento, rimanendo esclusi dal nuovo Bundestag.
All’orizzonte, si profila quindi la formazione di una Grosse Koalition — di dimensioni tuttavia ben minori rispetto che in passato — che, stando a quanto dichiarato dal cancelliere in pectore, Friedrich Merz, dovrebbe portare all’adozione di riforme dalla portata assai rilevante. Se alle parole del leader cristiano-democratico dovessero seguire i fatti, la Germania abbandonerebbe alcune caratteristiche che l’hanno contraddistinta negli ultimi decenni, con effetti potenzialmente significativi anche sul resto d’Europa.
Innanzitutto, “impiegando” i voti del Parlamento uscente, Merz mira a revisionare il freno al debito, meccanismo che, a livello costituzionale, vincola la Germania a un sostanziale pareggio di bilancio. Tale riforma verrebbe articolata in due parti. In primo luogo, si andrebbero a scorporare dal rapporto deficit/Pil le spese superiori all’1% del prodotto interno lordo destinate al settore della difesa; questa disposizione permetterebbe dunque a Berlino di emettere maggior debito al fine di finanziare lo sviluppo (reputato fondamentale) delle sue capacità militari. In secondo luogo, il cancelliere entrante ha annunciato l’intenzione di creare un fondo speciale, di circa 500 miliardi di euro, indirizzato ad ammodernare le infrastrutture del Paese. Attraverso questo strumento, lo Stato tedesco potrebbe dunque attingere dai mercati finanziari le risorse necessarie a sanare l’arretratezza di elementi essenziali quali strade, ponti, reti energetiche e ferrovie, recuperando il ritardo accumulato in due decenni di scarsi investimenti.
Merz promette poi di adottare un atteggiamento molto più stringente rispetto al passato in tema di immigrazione. In tal senso, cavalcando un diffuso malcontento popolare (conseguenza anche di vari attacchi terroristici vissuti negli ultimi mesi), il leader della CDU prospetta un maggior controllo dei confini e un aumento dei rimpatri per i soggetti che hanno visto rifiutata la propria domanda di asilo. Questi propositi — la cui traduzione pratica appare sotto diversi profili complessa — riecheggiano in un certo modo quanto hanno cercato di fare altri governi conservatori occidentali negli ultimi anni e, secondo diversi commentatori, sarebbero principalmente indirizzati a erodere consensi ad AfD.
Il cancelliere entrante ha quindi sollecitato una revisione della politica energetica nazionale, riaprendo il dibattito sul nucleare. A tal riguardo, Merz ha più volte ribadito la sua contrarietà all’abbandono dell’energia atomica da parte della Germania, sottolineando l’utilità di questa fonte energetica al fine di accantonare i combustibili fossili e rendersi indipendenti da Stati non democratici. Per quanto il leader della CDU abbia riconosciuto le difficoltà nell’andare a riavviare i reattori chiusi negli anni passati, è stata prospettata da parte sua la possibilità di fermare il loro smantellamento, così come quella di costruire reattori di nuova generazione. Non va trascurato come questo inedito orientamento pro-nucleare tedesco — in aperto contrasto con la posizione assunta da Berlino negli ultimi anni — potrebbe spostare gli equilibri anche a livello europeo, con quanto ne deriverebbe in termine di regolazione e di piani di investimento.
Queste tre linee d’azione, secondo il nostro punto di vista, evidenziano plasticamente come la Germania stia per entrare in una fase di trasformazione strutturale in cui alcuni pilastri del suo recente passato verranno, più o meno volontariamente, abbandonati. Al contempo, l’intenzione di adottare decisioni come quelle sopra descritte non può che far sorgere interrogativi sull’efficacia e sulla lungimiranza del lungo cancellierato di Angela Merkel.
Il freno al debito è stato infatti introdotto in Costituzione solo nel 2009, quando il governo della cancelliera imponeva alla Germania — e, in un certo senso, a tutta l’Unione Europea — una politica di rigore di bilancio che non lasciava spazio a investimenti pubblici di ampia portata. Allo stesso modo, fu sempre l’esecutivo guidato da Merkel a deliberare nel 2015 la massiccia politica di accoglienza per i rifugiati del medio-oriente; scelta economicamente sensata (e, da un punto di vista umanitario, più che nobile) che però, stando a diversi opinionisti, ha generato inevitabili problematiche di integrazione e la crescita di consensi per Alternative für Deutschland. Quindi, sempre il governo della cancelliera — sull’onda emotiva del disastro di Fukushima, nel 2011 — ha deliberato l’abbandono da parte della Germania dell’energia nucleare, portando a un rapporto di dipendenza sempre più stretto con la Russia di Vladimir Putin.
Sembra dunque ragionevole affermare come all’alba del governo Merz corrisponda il tramonto dell’epoca Merkel: un periodo per la Germania di notevole quiete in cui però, evidentemente, si è lasciato che diverse criticità potessero crescere pressoché indisturbate.
L’articolo è stato elaborato nell’ambito di “Focus Geofinanza. Osservatorio IAI-Intesa Sanpaolo sulla geofinanza”
