La nuova amministrazione statunitense ha ridefinito rapidamente la politica estera, allineandosi in modo significativo alla visione del Cremlino. Questa è l’affermazione del portavoce Dmitry Peskov. Quest’ultimo ha anche elogiato la decisione di Washington di sostenere una bozza di risoluzione delle Nazioni Unite che evita di designare la Russia come paese aggressore nella guerra in Ucraina, definendola una posizione che, fino a poco tempo fa, sarebbe stata “impossibile da immaginare”.
Queste dichiarazioni riassumono gli effetti delle nuove scelte di politica estera della Casa Bianca e il drammatico confronto tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale rappresenta solo l’ultimo segnale dell’abbandono dell’Ucraina e, più in generale, dell’Europa. Questo episodio è avvenuto in seguito alla dichiarazione del capo del Pentagono secondo cui gli Stati Uniti non intendono più essere i principali garanti della sicurezza europea. Tuttavia, quanto accaduto alla Casa Bianca pochi giorni fa è anche altamente indicativo della natura dei recenti negoziati tra Stati Uniti e Russia, nei quali Vladimir Putin, con ogni probabilità, ha rifiutato di concedere a Trump una vittoria facile ponendo fine alla guerra in Ucraina. Il leader del Cremlino ha ribadito con fermezza, ancora una volta, che non avrebbe mai accettato un cessate il fuoco che includesse garanzie di sicurezza per l’Ucraina o il dispiegamento di forze di pace lungo la linea del fronte.
A sua volta, Trump, determinato a porre fine alla guerra a qualunque costo, ha escluso qualsiasi garanzia per Kyiv, cercando di persuadere Zelensky ad accettare un semplice cessate il fuoco, privo di riferimenti a garanzie di sicurezza o alla presenza di forze di pace lungo il fronte. Nonostante le forti pressioni, Zelensky ha rifiutato categoricamente
di cedere. Così, Trump si è ritrovato in un vicolo cieco, incapace di mantenere la promessa di una rapida risoluzione del conflitto. Nel tentativo di scaricare la responsabilità, ha cercato di attribuire all’Ucraina il fallimento del suo piano di pace, rivelatosi irrealistico e illusorio.
Questi sviluppi pongono l’Europa di fronte a sfide enormi: il continente dovrà prepararsi al peggior scenario possibile, in cui l’intera architettura della sicurezza europea verrà ridefinita. Non è realistico pensare che attendere un nuovo governo americano possa risolvere il problema, perché la questione non riguarda solo Trump, ma un cambiamento più profondo nella mentalità strategica, in cui le tradizionali strutture di sicurezza vengono considerate sempre meno indispensabili.
È ancora prematuro valutare appieno l’entità e la rapidità delle conseguenze del disastro diplomatico tra Stati Uniti e Ucraina, ma i danni potrebbero essere significativi. La sicurezza europea è direttamente legata all’esito della guerra in Ucraina. Se gli Stati Uniti dovessero interrompere immediatamente gli aiuti militari a Kyiv, comprometterebbero l’andamento della guerra e automaticamente anche la sicurezza di numerosi Paesi della Nato, poiché le due questioni sono inscindibili. Nei Paesi dell’Europa orientale cresce il timore che la credibilità dell’Articolo 5 del Trattato Nato sia stata irreparabilmente compromessa.
Di fronte a queste sfide, il Primo Ministro britannico Keir Starmer ha convocato un vertice di alto livello con i leader europei e con il presidente ucraino Zelensky. Starmer ha ribadito che l’Europa lavorerà con l’Ucraina per elaborare un piano volto a “fermare i combattimenti”, da presentare successivamente a Trump. Tuttavia, ha ammesso di non aver ancora ricevuto alcuna garanzia da parte di Washington riguardo a un “paracadute militare” statunitense, elemento che considera imprescindibile per scoraggiare future aggressioni da parte della Russia. Durante il vertice di Londra, i leader europei hanno concordato quattro principi fondamentali:
- Continuare a fornire assistenza militare all’Ucraina per tutta la durata della guerra, aumentando al contempo la pressione economica sulla Russia;
- Qualsiasi pace duratura dovrà garantire la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina, con Kyiv direttamente coinvolta nei negoziati;
- In caso di accordo di pace, l’Europa dovrà garantire misure di deterrenza per prevenire future invasioni russe;
- Creare una “coalizione dei volenterosi” per proteggere l’Ucraina e garantire la stabilità a lungo termine nel Paese.
Starmer intende presentare questo piano a Trump per dimostrare che gli europei sono
pronti a farsi carico delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, qualora gli Stati Uniti riuscissero a raggiungere un accordo di pace e a convincere Putin ad accettare un
cessate il fuoco. È certamente positivo che l’Europa si stia muovendo in questa direzione, ma è molto improbabile che il Cremlino accetti un simile piano di pace. Per questo,
l’aspetto più importante della strategia europea resta quello indicato nel primo punto: continuare a fornire assistenza militare all’Ucraina per tutta la durata del conflitto.
Ma cosa accadrebbe se gli Stati Uniti decidessero di sospendere del tutto gli aiuti militari a Kyiv? Quali sarebbero le principali sfide per l’Europa? Il primo obiettivo sarebbe stabilizzare la linea del fronte, intensificando le forniture di artiglieria per compensare l’eventuale mancanza di rifornimenti americani. Artiglieria, droni d’attacco e mine diventerebbero strumenti essenziali per colmare la carenza di fanteria. Senza il sostegno militare statunitense, la capacità di fuoco dell’Ucraina diminuirebbe, offrendo alla Russia opportunità tattiche sul campo di battaglia e riducendo la possibilità di stabilizzare il fronte.
Un altro aspetto cruciale da affrontare sarebbe quello della difesa aerea a lungo raggio. L’Europa dovrebbe negoziare con gli Stati Uniti per acquistare intercettori destinati alla difesa ucraina, un’operazione che potrebbe servire da esempio per altre acquisizioni di equipaggiamento militare essenziale. Al tempo stesso, sarebbe fondamentale rafforzare l’industria della difesa ucraina, promuovendo una cooperazione più profonda con le aziende europee del settore. La creazione di joint venture e la stipula di contratti pluriennali con l’industria della difesa sarebbero elementi chiave, insieme allo sviluppo di nuovi strumenti di finanziamento per progetti militari a lungo termine. n
Responsabile di ricerca presso l'Istituto Affari Internazionali. Dal 2020 scrive per La Stampafocalizzandosi sulla Russia e lo spazio post-sovietico.