Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere (CBAM): un anno dopo

di Nicolò Ferretti

Il 16 maggio 2023 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Regolamento Europeo che istituiva il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontierev  (CBAM). Dalla sua nascita, il meccanismo ha raccolto numerose critiche a causa dei suoi effetti distorsivi nei confronti dei partner commerciali dell’Unione Europea. Rimane da capire se queste criticità ne mineranno l’applicazione futura.

Il CBAM si inserisce tra le misure prese dell’Unione Europea, all’interno del Green Deal, per la riduzione delle emissioni di gas serra. L’obiettivo del meccanismo è duplice. Da un lato, mira a garantire la competitività delle aziende europee che lavorano in settori energivori nonostante l’introduzione di nuove tecnologie che riducono le emissioni, ma alzano i prezzi di produzione nel breve-medio periodo. Dall’altro, il meccanismo dovrebbe incentivare coloro che esportano verso l’Ue a limitare la produzione di emissioni. Va inoltre sottolineato che, sebbene gli strumenti del Green Deal Europeo generino degli effetti anche esternamente, il CBAM dovrebbe sortirne di particolarmente controversi.

Il CBAM viene applicato solo ad alcune tipologie di merci importate nell’Unione con il fine di apporre un prezzo al carbonio emesso durante la loro produzione. Le merci interessate sono prodotti ad alto contenuto di carbonio quali cemento, energia elettrica, fertilizzanti, alluminio, ghisa, ferro, acciaio e idrogeno. Ogni importatore di questi beni dovrà comprare dei certificati CBAM, ciascuno equivalente a una tonnellata di emissioni incorporate. Il prezzo di questi certificati sarà equivalente al prezzo medio d’asta settimanale delle quote EU ETS. Annualmente, l’importatore dovrà compilare una dichiarazione CBAM, che attesti la quantità di merce importata e le emissioni incorporate nella produzione. Inoltre, gli operatori dovranno riportare il numero totale di certificati CBAM equivalenti alle emissioni incorporate, che dovranno essere, in seguito, restituiti. Se gli importatori dimostreranno che un prezzo del carbonio è già stato pagato durante la produzione dei beni tramite misure del paese di origine, l’importo corrispondente può essere dedotto. Quindi, se da un lato, l’obiettivo è quello di evitare la delocalizzazione delle emissioni, dall’altro, il CBAM spinge i partner commerciali a tassare direttamente sul loro territorio il carbonio. Così facendo, infatti, essi potrebbero trattenere il gettito fiscale che altrimenti sarebbe pagato all’Ue.

Il meccanismo è stato approvato nel maggio del 2023, mentre la sua entrata in vigore è avvenuta il primo ottobre dello stesso anno. Tuttavia, in una prima fase transitoria, che durerà fino al 31 dicembre 2025, l’importatore avrà solo l’obbligo di redigere le dichiarazioni CBAM. Il meccanismo entrerà in pieno vigore dal 1° gennaio 2026, con l’obbligo di pagamento del prezzo dei certificati. Il processo di applicazione del CBAM sarà accompagnato da una graduale eliminazione dell’assegnazione a titolo gratuito di quote (free allowances) EU ETS. In questo modo, l’Ue assicura che la protezione dal carbon leakage passi dallo strumento delle free allowances al CBAM.

CBAM: un meccanismo propulsivo

Il meccanismo ha senza dubbio delle notevoli potenzialità nella lotta al cambiamento climatico. Innanzitutto, il carbon leakage potrà essere sostanzialmente ridotto. La necessità di dichiarare le emissioni di carbonio e pagare una “tassa” proporzionale dovrebbe limitare l’interesse nella delocalizzazione. In questo modo, la stessa competitività delle aziende europee dovrebbe aumentare, potenziando l’economia dell’Unione.

Inoltre, l’esenzione per i produttori che introducano misure di imposizione fiscale del carbonio analoghe a quelle europee dovrebbe spingere i paesi partner a implementare forme di tassazione del carbonio. Questo adeguamento tra politiche ambientali potrebbe portare alla creazione di un climate club, ovvero un gruppo di paesi con omogenee politiche climatiche. In questo modo, gli stati non membri avrebbero interesse a entrare nel club per evitare di pagare la tassa, adeguandosi loro stessi alle regole interne del club, ovvero all’istituzione di un prezzo per le emissioni sul proprio territorio. Lo stesso Consiglio, nel proporre il suo orientamento generale sul CBAM, ha fatto riferimento ai club climatici definendoli come “un’alleanza di paesi che dispongono di strumenti di fissazione del prezzo del carbonio o altri strumenti analoghi”. In tal senso, il CBAM dovrebbe avere effetti propulsivi rispetto alle politiche ambientali di paesi terzi. Qualche timido passo in questo senso sembra essere in fieri in India dove, per paura di un eccessivo peso degli effetti del CBAM, il governo sta valutando l’aumento della attuale tassazione sulle emissioni, attualmente pari a USD $1.6 per tonnellata di CO2. Inoltre, il Regno Unito sta definendo le caratteristiche del suo CBAM, che, sebbene molto simile a quello Europeo, presenterà delle sostanziali differenze.

Criticità del meccanismo

Nonostante l’intenzione del CBAM sia chiara, le critiche sulla sua strutturazione sono state numerose. Innanzitutto, su alcuni potrebbero essere posti pesi ben maggiori rispetto che ad altri. Il meccanismo in un primo momento si applica solo ad alcune merci e, di conseguenza, il peso iniziale di adeguamento alle nuove regole è posto solo sui partner commerciali di questi beni. Basti pensare che più di un quarto di tutte le importazioni dei prodotti sotto regime CBAM deriva dalla Federazione Russa e dalla Cina. Proprio per questo motivo, è stato calcolato che l’effetto sulle importazioni cinesi sarebbe enorme non solo nei settori CBAM, ma avrà un riflesso negativo su tutte le merci importate dal gigante asiatico, riducendone la quantità. Anche a causa di questi effetti distorsivi, Cina e India hanno minacciato di portare la questione in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio per valutarne la conformità con il diritto commerciale internazionale. Ci si chiede dunque quale saranno le future mosse di questi colossi in risposta a un meccanismo così incisivo.

Il peso della tassazione del CBAM sarà proporzionalmente maggiore sui Paesi in via di sviluppo. Uno dei tanti stati vulnerabili agli effetti del meccanismo è il Mozambico che, esportando in Ue più del 90% di tutto il suo alluminio, dovrebbe subire grosse ripercussioni su salari e occupazione. Questo solleva seri dubbi sull’equità del meccanismo, soprattutto nei confronti dell’economie meno avanzate. In molti di questi contesti, la vertiginosa crescita demografica, la mancanza di risorse amministrative e finanziarie e le tempistiche richieste per una totale decarbonizzazione industriale rendono l’adattamento alle misure europee particolarmente compresso. Infatti, si è calcolato che il CBAM comporterà una forte crollo delle importazioni dall’Africa, riducendo le possibilità di sviluppo economico e, quindi, di un’efficace transizione ecologica di maggior parte del continente. In aggiunta, lo spazio commerciale lasciato da questi paesi può essere più facilmente riempito da altri paesi più ricchi, aumentando il divario Nord-Sud. Si è dimostrato, ad esempio, che la riduzione delle esportazioni cinesi di acciaio, favorirà quelle giapponesi, vista la maggiore efficienza dei loro impianti produttivi.

In aggiunta a ciò, sebbene nelle prime bozze del regolamento si fosse previsto di utilizzare i proventi del CBAM per aiutare la transizione ecologica dei paesi in via di sviluppo, questa opportunità è stata cancellata dal testo finale. Viene solo evidenziato che l’Ue può valutare l’utilizzo delle entrate provenienti dal meccanismo per sostenere la decarbonizzazione dei paesi in maggiore bisogno. Tuttavia, questa devoluzione dei fondi del CBAM deve essere ancora regolamentata dall’Ue.

Il panorama è, quindi, particolarmente critico. Sebbene ci si possa aspettare che paesi con forti economie avranno più strumenti per adattarsi e, magari, saranno influenzati positivamente dal CBAM, i paesi in via di sviluppo sembrano essere lasciati indietro. Ma la transizione ecologica non può prescindere dalla cooperazione internazionale. Se l’Europa vuole porsi come leader nel nuovo mondo decarbonizzato, deve operativizzare il CBAM in maniera più efficiente ed equa. Il primo problema da affrontare sarà riuscire a coordinare il meccanismo con altri strumenti di tassazione simili, ma non uguali. Ad esempio, saranno da chiarire le interazioni tra l’EU CBAM e il CBAM del Regno Unito, che differisco, ad esempio, sulle merci prese in considerazione. Per poter risolvere queste incertezze, sarebbe necessaria la creazione di un ampio forum di discussione internazionale al fine di migliore l’attuazione del meccanismo, alla luce delle evoluzioni legislative nei paesi partner. La seconda questione da affrontare è relativa all’iniquità degli effetti del CBAM. Al fine di mitigare gli effetti negativi, i proventi del CBAM potrebbero essere investiti in processi di decarbonizzazione industriale in paesi in via di sviluppo con il fine di sostenere la loro transizione ecologica. Sebbene subordinata alle priorità politiche, vi è ancora possibilità di perfezionare il meccanismo per realizzare a pieno i suoi ambiziosi obiettivi.

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