L’Europa matura

Se vuole imporsi come attore credibile nel nuovo (dis)ordine internazionale e rispondere alle aspettative dei suoi cittadini, l’Unione deve portare a termine importanti riforme, alcune delle quali richiederanno una modifica dei Trattati. Queste modifiche risultano ancora più urgenti in vista di un ulteriore allargamento dell’Unione. Se sommiamo l’Ucraina, la Moldova e la Georgia ai sei paesi dei Balcani occidentali, si profila un’Ue che potenzialmente potrebbe raggiungere i 36 membri. Questo solleva le questioni della riforma delle procedure decisionali e della capacità di assorbimento istituzionale dell’Unione.

La riforma dell’Unione non è un affare semplice e bisogna chiarire sia il merito, sia il metodo. Nel merito, a livello di architettura complessiva dell’Unione, si impone l’introduzione di correttivi all’assetto istituzionale e alla gestione della politica europea che possano integrare e in parte compensare le dinamiche di frammentazione. Quello che serve è la creazione di vero e proprio governo dell’Unione fondato su un rapporto fiduciario più stretto e lineare tra legislativo (Parlamento europeo) ed esecutivo (Commissione europea). Questo dovrebbe passare in prima battuta dall’istituzionalizzazione dello Spitzenkandidat, ovvero il meccanismo per cui viene designato come Presidente della Commissione europea il candidato della forza politica europea che ha vinto le elezioni. Ma si dovrebbe anche puntare alla creazione di un sistema partitico europeo che si confronti in elezioni autenticamente sovranazionali, rafforzando i partiti europei, uniformando le leggi elettorali per le elezioni europee nei diversi Paesi e arrivando finalmente alla creazione di liste transnazionali, che permetterebbero ai cittadini di votare candidati europei e sposterebbero la campagna elettorale su temi genuinamente europei e non prettamente nazionali.

Tra le questioni istituzionali principali che dovranno essere affrontate con urgenza c’è sicuramente un ampliamento delle materie alle quali si applicano le procedure decisionali a maggioranza qualificata, in modo da sottrarre il processo europeo dal giogo del potere di veto nazionale. Ma serve anche un aggiustamento della composizione delle istituzioni, a partire dal limite di 751 parlamentari previsto dal Trattato di Lisbona per il Parlamento europeo, che andrà alzato per venire incontro agli interessi dei nuovi Stati membri, e dalle dimensioni della Commissione europea, dove va superata la prassi attuale di un Commissario per Stato membro se non si vuole rischiare di trasformarla in un organo pletorico e poco funzionale.

Per quanto riguarda le competenze dell’Unione, è necessario che le istituzioni possano intervenire in quei settori che sono ancora appannaggio degli esecutivi nazionali, ma che per la loro natura richiedono soluzioni condivise e una risposta collettiva: salute, difesa, energia. Le crisi recenti ci hanno fatto comprendere la vera natura di questi settori come beni pubblici europei, che per essere realizzati richiedono una condivisione di sovranità a livello europeo, in modo da garantire la condivisione del rischio e la moltiplicazione della capacità di azione.

Rischi e problemi dell’allargamento

Al di là delle riforme istituzionali, un nuovo allargamento, soprattutto per quel che concerne l’Ucraina, pone il problema della redistribuzione del bilancio Ue, della Politica di Coesione e della Politica Agricola Comune (PAC). L’ingresso dell’Ucraina porterebbe infatti a un abbassamento del PIL pro capite dell’Unione, che a sua volta determinerebbe una rimodulazione degli stanziamenti di bilancio e cambiamenti nell’assegnazione dei Fondi di Coesione. Soprattutto il governo di Kyiv diventerebbe primo beneficiario della PAC, i cui fondi vengono allocati in base agli ettari di terreno coltivati, per una cifra che il think tank Bruegel stima attorno agli 85 miliardi di euro. Una riforma delle regole di bilancio e in particolare della PAC sembra dunque non procrastinabile.

Per quanto riguarda il metodo, i leader europei dovrebbero trovare il coraggio di alzare l’asticella e aprire una vera e propria fase costituente nella prossima legislatura europea. Le premesse di questo processo sono state poste, con non pochi limiti e ostacoli, attraverso la Conferenza sul futuro dell’Europa, che ha rappresentato un’occasione importante per riflettere sulla direzione del processo di integrazione all’indomani di una devastante pandemia e nel mezzo della più profonda recessione della sua storia.

Oggi l’Unione può dunque contare su una legittimazione ulteriore per avviare importanti riforme che arriva dai suoi cittadini. È in linea con questi ragionamenti che il Parlamento europeo ha chiesto la convocazione di una Convenzione, che dovrebbe aprire una fase costituente in linea con l’articolo 48 dei Trattati. Il problema è la volontà politica degli Stati membri. Mentre alcune capitali, come Parigi e Berlino, sarebbero favorevoli, un gruppo di tredici Stati membri ha già dichiarato apertamente la propria opposizione alla modifica dei Trattati.

Una campagna a favore di una fase costituente da avviare con la prossima legislatura europea può venire dal basso, grazie alla mobilitazione di cittadini e associazioni che vogliono vedere realizzate le aspettative generate con la Conferenza sul futuro dell’Europa. Ma non basta: serve un’iniziativa forte dei governi dei Paesi fondatori e di altri che vorranno unirsi per lanciare un messaggio inequivocabile di impegno per una nuova agenda di riforme, che includa anche una modifica dei Trattati ove necessario. È solo così che l’Unione sarà in grado di reggere la competizione economica e industriale internazionale, sostenere la risposta all’aggressione russa all’Ucraina ai suoi confini e mantenere le sue promesse di allargamento ad est e ai Balcani Occidentali.

estratto di “L’Europa matura” di Nicoletta Pirozzi, edito da Linkiesta Books.

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