Francia: après nous le déluge

Voltata la pagina delle elezioni europee, la Francia si è tuffata in quella ancor più impegnativa del rinnovo anticipato (e precipitoso) dei 577 seggi che compongono l’Assemblea nazionale, solo ramo del suo Parlamento scelto dal popolo a suffragio universale diretto. L’annuncio del presidente Emmanuel Macron, che la sera del 10 giugno ha cancellato con un colpo di spugna l’Assemblea nazionale eletta due anni prima, è stato un terremoto tutt’altro che facile da interpretare. Nel leggere le vicende della politica, ci siamo abituati a cercare disegni e scenari perfettamente logici dietro le scelte di chi detiene incarichi pubblici o aspira a occuparli. Abbiamo invece difficoltà a integrare nei nostri paradigmi interpretativi l’elemento della reazione personale, istintiva e magari impulsiva, dei protagonisti della vita politica. In realtà, nessuno di noi può sapere in che modo le strategie politiche e gli elementi personali si siano incrociati nella mente di un solitario Macron, nel momento in cui ha reagito alla sconfitta (peraltro ampiamente annunciata) decidendo di sciogliere l’Assemblea. Certo, così facendo, l’Eliseo ha trasferito la patata bollente della sconfitta dalle proprie spalle a quelle del suo gruppo parlamentare, mandato allo sbaraglio in una campagna elettorale carica d’incertezze e di problemi.

Il discorso televisivo di Macron, alle 21 del 9 giugno, è stato brevissimo, drammatico e sorprendente con quell’annuncio delle elezioni anticipate a brevissima scadenza. I più sorpresi sono stati, appunto, i deputati macronisti. Nel giro di una sola settimana, i partiti devono definire candidature e possibili alleanze. Le urne si riaprono il 30 giugno per il primo turno delle legislative e il 7 luglio per il secondo. Macron avrebbe potuto far passare l’estate delle Olimpiadi e far votare i connazionali in autunno. Ha invece affrettato al massimo i tempi, rischiando così di creare difficoltà ai suoi amici ben più che ai suoi avversari. I primi hanno tutto da perdere; gli altri hanno tutta la vita per aspettare una rivincita. Lo stato d’animo dei contendenti è dunque molto diverso.

La sinistra si unisce, la Le Pen ottiene l’appoggio repubblicano

Lunedì 10 giugno, mentre i deputati macronisti si chiedevano come sollecitare un’altra volta il voto di chi li ha già mandati in Parlamento nella primavera 2022, i leader dei quattro partiti di sinistra hanno deciso di creare la loro alleanza, battezzata Fronte popolare. Il riferimento storico alla Francia del 1936 è trasparente. Nell’anno in cui cominciò la guerra civile spagnola, le sinistre francesi si riunirono in nome dell’antifascismo. Presero il potere, ma fecero ben poco per salvare la democrazia spagnola, si dimenticarono di dare il diritto di voto alle donne, proseguirono la dura politica coloniale e, quando i governi del Fronte popolare erano ormai un ricordo, moltissimi parlamentari eletti sotto quell’etichetta votarono i pieni poteri al maresciallo Pétain nel 1940.

Il nuovo Fronte popolare (composto da socialisti, ecologisti, comunisti e membri della France insoumise, LFI, di Jean-Luc Mélenchon) nasce dopo poche ore di discussione e molti mesi di polemiche e insulti reciproci. Il cambio di sistema elettorale può fare miracoli. In vista delle elezioni europee, svoltesi con il proporzionale e lo sbarramento (in Francia) al 5% dei voti, socialisti e LFI si sono letteralmente scannati tra loro. Il 9 giugno i socialisti sono andati bene (13,83% alla lista guidata da Raphaël Glucksmann e realizzata insieme al movimento Place publique), LFI ha perso la propria leadership a sinistra (9,89%), Europe Ecologie ha sfiorato il disastro (5,5%) e i comunisti sono rimasti dietro la lavagna (2,36%). La questione mediorientale ha attizzato le polemiche. Dopo il massacro del 7 ottobre, LFI ha rifiutato di considerare Hamas come un movimento terrorista, in dissenso dagli altri tre partiti della Gauche. Adesso quelle polemiche sembrano dimenticate, nel momento in cui ci si prepara ad affrontare un’elezione a doppio turno, e non più alla proporzionale. Stavolta le alleanze sono vitali e le divergenze pre-elettorali sembrano assottigliarsi (in attesa di riesplodere all’indomani del secondo turno). Rispetto alla guerra in Ucraina, la differenza è stata ancor più evidente, con le ambiguità di LFI in contraddizione con l’assoluta determinazione pro-Kyiv di Raphaël Glucksmann. Oggi nasce un’alleanza a sinistra, compatta più sulla tattica che sulla strategia. Nel caso, difficile ma non impossibile, che il Front populaire arrivi a 289 seggi (maggioranza assoluta dell’Assemblea), il cemento del potere dovrebbe cicatrizzare le polemiche vecchie e nuove tra sinistra estrema e moderata. Altrimenti gli stracci torneranno a volare.

L’ipotesi a cui la Francia intera guarda con crescente attenzione è quella del successo del Rassemblement national (RN) di Marine Le Pen e del suo fedelissimo Jordan Bardella. Il partito d’estrema destra (88 seggi nell’Assemblea uscente) può fare il balzo fino a superare l’asticella a quota 289. Anche questo è difficile, ma non certo impossibile. Tanto più dopo la notizia bomba dell’11 giugno, quando Eric Ciotti, presidente del partito neogollista dei Républicains, tradizionalmente ostili all’estrema destra, ha annunciato come se niente fosse la propria intesa con Marine Le Pen. Parlava a titolo personale, ma la sua mossa può portare molta acqua al mulino del RN. È chiaro che, a destra e a sinistra, ci sono deputati uscenti pronti al compromesso con le estreme pur di salvare il proprio seggio

Ingovernabilità o coabitazione, i rischi delle nuove elezioni

In realtà tutto può uscire dalle urne dei due turni delle legislative anticipate. Può esserci una maggioranza assoluta RN, allargata a qualche “cespuglio” cresciuto nelle praterie della destra classica. Può esserci una maggioranza assoluta di sinistra, in cui l’estrema sinistra avrebbe un peso determinante. Può esserci (ma questa pare oggi l’ipotesi meno probabile) una maggioranza assoluta favorevole a Macron. E può esserci (ipotesi da non trascurare assolutamente) un contesto quasi ingovernabile, in cui nessun blocco avrebbe la maggioranza assoluta. Nell’estate olimpica di Parigi, la Francia rischia di attraversare un periodo di grave turbolenza politica, che potrebbe combinarsi con una fase di proteste sociali e di scioperi. C’è da chiedersi se il presidente Macron abbia preso in conto anche questo elemento quando la sera del 9 giugno ha sfogato davanti alle telecamere la propria delusione annunciando lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. La sconfitta alle europee non gli imponeva assolutamente di convocare i connazionali ai seggi per nuove elezioni legislative. Lo ha fatto e ha certamente preso in considerazione l’ipotesi di quella che il gergo politico francese chiama “coabitazione”, ossia la convivenza tra un presidente della Repubblica e un governo di segno politico opposto.

Sbaglia chi considera la Francia come una sorta di “monarchia repubblicana assoluta” e vede nel primo ministro un semplice esecutore dei voleri presidenziali. Questa caricatura è verosimile quando la maggioranza all’Assemblea nazionale è coerente col colore politico dell’Eliseo. Ma in tempi di coabitazione le cose stanno ben diversamente. È accaduto tre volte (1986-1988, 1993-1995 e 1997-2002) nella storia della Quinta Repubblica. Soprattutto nel primo caso, il governo (allora guidato da Jacques Chirac) ha fatto passare leggi, come quella sulle privatizzazioni, ostacolate in tutti i modi dall’allora presidente François Mitterrand. Se il RN o l’unione delle sinistre vincessero le elezioni, il presidente Macron dovrebbe prepararsi a ingoiare una quantità industriale di rospi a causa dell’atteggiamento governativo nei suoi confronti (cosa che potrebbe spingerlo anche alle dimissioni, visto che la Costituzione non gli dà la possibilità di sciogliere una seconda volta l’Assemblea in tempi brevi).

Altre domande riguardano gli effetti delle nuove elezioni sulla politica estera francese e, in particolare, sul rapporto, oggi ottimo, tra Parigi e Kyiv. A termini di Costituzione, il presidente della Repubblica ha un concreto e continuo ruolo di supervisione sulla politica estera e sulla difesa anche quando il governo è di segno politico opposto. I tre periodi di coabitazione hanno sempre visto l’attribuzione dei ministeri degli Esteri e della Difesa a persone che beneficiavano della doppia fiducia del capo dello Stato e del primo ministro. Ad esempio, anche in questi periodi la Francia è sempre stata rappresentata al G7-G8 dal Presidente della Repubblica, accompagnato dal ministro degli Esteri. In tutti i casi, il presidente Macron farà certamente pesare il proprio ruolo sul piano internazionale.

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